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Vivere a debito

debito

Da troppi anni in Italia si vive spendendo le risorse del domani. La proposta dell’anticipo del Tfr va ancora in questa direzione.

Prima 80 euro in busta, ora l’ipotesi di aggiungerne altri 100 che dovrebbero venire dall’anticipazione del Tfr. Una misura che, almeno crediamo, riguarderebbe i soli dipendenti privati visto che a quelli pubblici l’erogazione del Tfr è stata posticipata di due anni da una precedente manovra. Sarebbe questa la soluzione a cui da più parti, compreso il governo, si sta pensando per rilanciare i consumi e quindi l’economia.

Chi scrive non è un economista. Ma alla luce di un po’ di buon senso, ci sembra che la cosa non possa funzionare. Lasciamo pure stare le ragioni che mettono in campo le aziende, cioè che così facendo si tolgono alle imprese fondi che vengono utilizzati per  sopperire alla mancanza di credito. A nostro avviso la cosa non funziona perché risponde alla logica, che in Italia dura ormai dal 1970, della scelta di “vivere a debito”. In Toscana si direbbe che si vuole “mangiare l’uovo in culo alla gallina”.  La pratica iniziò appunto negli anni ’70. Allora il debito pubblico era il 40,5% del PIL Nel 1994 era arrivato al 121,2%. Tre volte tanto. Soldi che non furono usati per investimenti ma per alimentare la spesa corrente. Dal ‘94 il processo è stato più virtuoso ma oggi siamo comunque al di sopra del 130%. Ora, visti i vincoli europei, che diciamo di voler rispettare, si cerca di battere altre strade ma la filosofia di fondo è sempre la stessa: spendere risorse future.  Al riguardo si possono fare due considerazioni. La prima, di tutta evidenza:  quello che si consuma oggi non c’è più domani. La seconda. L’anticipo di risorse non migliora la situazione di oggi perché la maggiore disponibilità economica viene subito erosa dai costi relativi agli aumenti continui di prezzi e tariffe e dai costi che i cittadini sono costretti a pagare per l’inefficienza della macchina pubblica. La chiave di volta è tutta qui. Recuperare efficienza a tutti i livelli agli apparati pubblici. I costi dell’inefficienza sono tanti e tali che le poche decine di euro che si cerca di incassare con trovate che hanno più controindicazioni che benefici non fanno assolutamente nessuna differenza. Solo che per recuperare efficienza si deve rompere quella ragnatela di opportunismo, concertazione e clientelismo politico che copre come una cappa di piombo tutta la società. E per fare questo, spiace dirlo, bisogna ridimensionare il ruolo dei sindacati. Il senso della battaglia dell’art. 18 è tutto qui, come è stato già scritto. Purtroppo dopo le prime aperture in questo senso, si registrano già da parte di Renzi i primi passi indietro ma almeno la battaglia è ancora aperta. Una notizia intanto fa bene sperare. Il licenziamento deciso dal Comune di Roma degli orchestrali del Teatro dell’Opera. Se non si faranno passi indietro sarà questo un esempio da seguire per diverse altre realtà.


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