Pubblichiamo grazie all’autorizzazione del gruppo Class Editori e dell’autore, l’articolo di Tino Oldani uscito sul quotidiano Italia Oggi diretto da Pierluigi Magnaschi
A differenza del vertice Francia-Germania sulla politica estera del 14 ottobre, che aveva registrato una sintonia totale tra i due Paesi, quello svoltosi lunedì a Berlino sulla politica economica franco-tedesca non ha avuto la stessa sorte. Lo si intuisce dalle interpretazioni giornalistiche, che arrivano a darne conclusioni opposte. Per la Repubblica l’incontro tra i ministri economici dei due Paesi (Wolfgang Schauble e Sigmar Gabriel per la Germania; Emmanuel Macron e Michel Sapin per la Francia), è stato un successo. Per il Corriere della sera, invece, un fallimento.
Il quotidiano vi ha colto uno scambio di impegni a dir poco clamoroso: la Germania pronta a investire 50 miliardi di euro per rilanciare la propria economia, e di riflesso quella europea; in cambio, la Francia farebbe i compiti a casa tagliando la spesa pubblica di 50 miliardi. Un patto forse bello, ma impossibile a giudizio del quotidiano milanese, che sottolinea invece le parole con cui Schauble, ministro tedesco delle Finanze, ha ribadito il vero obiettivo del suo governo: raggiungere il pareggio di bilancio nel 2015, per la prima volta dal 1969, a tutti i costi. Ragion per cui Berlino non spenderà soldi pubblici per rilanciare gli investimenti, neppure per le infrastrutture, come viene richiesto da più parti in Europa. E i 50 miliardi di investimenti tedeschi in più sollecitati da Parigi, hanno detto all’unisono Schauble e Gabriel, se mai ci saranno, dovranno venire dal settore privato.
Penso che l’analisi del Corsera, più prudente, sia anche la più corretta. Soprattutto quando tocca il tasto del settore privato come unica fonte possibile per il rilancio degli investimenti. Ciò vale anche per l’Unione europea, dove l’entusiasmo iniziale sui 300 miliardi di investimenti promessi dal nuovo presidente della Commissione Ue, Jean-Claude Juncker, si sta sciogliendo come neve al sole. Basti ricordare che la vicepresidente con delega al budget europeo, Kristalina Georgieva, durante l’audizione di fronte al Parlamento europeo, parlando con una franchezza che ha riscosso applausi, ha ammesso di non avere la minima idea sul come Juncker possa reperire tutti quei soldi. Di certo, nel bilancio dell’Ue non ci sono. Per cui, ha dedotto la Georgieva, l’unica alternativa sono i fondi alimentati dal risparmio privato. E se questa è la spina dorsale del piano con cui la nuova Commissione Ue intende rilanciare l’economia, campa cavallo!
A conti fatti, il tentativo più concreto di rilanciare l’economia europea rimane quello proposto dal presidente della Bce, Mario Draghi, che punta su due azioni. La prima: acquistare con fondi della Bce i famosi Abs (Asset backed securities), cioè titoli finanziari con cui le banche impacchettano prestiti da erogare alle imprese e alle famiglie. La seconda: consentire alla Bce di avviare le Omt (Outright monetary transactions), vale a dire l’acquisto di titoli di Stato direttamente dai Paesi in crisi, che necessitano di fondi per ripartire. In sostanza, due azioni di politica economica di stampo keynesiano. Ma anche due interventi che la Germania sta ostacolando in ogni modo, poiché li giudica contrari non solo alla politica di austerità (Fiscal Compact), ma anche, nel secondo caso, agli stessi trattati europei, che vietano alla Bce di prestare soldi ai Paesi Ue.
Il ferro di lancia di questa opposizione a Draghi è il presidente della Bundesbank, Jens Weidman, che prima di diventare nel 2011, all’età di 43 anni, il numero uno della Banca centrale tedesca, era stato uno stretto collaboratore di Angela Merkel presso la cancelleria di Berlino. In settembre, dopo avere votato contro l’acquisto di Abs nel consiglio della Bce, Weidman ha attaccato pesantemente Draghi: «Ha preso decisioni pericolose». Con gli acquisti di Abs, ha aggiunto, «c’è il rischio che i politici allentino gli sforzi per le riforme, e che gli investitori assumano un rischio eccessivo, cercando guadagni che possono mettere a rischio la stabilità finanziaria». Di più: gli Abs significano «un trasferimento di rischi dalle banche ai cittadini europei».
Da allora, come hanno sottolineato i giornali tedeschi, i rapporti tra Draghi e Weidman, che già non erano idilliaci, sono peggiorati fino al punto che i due neppure si parlano più. E il gelo dei loro rapporti potrebbe durare a lungo, se si considera che Weidman è stato tra gli artefici di una causa giudiziaria clamorosa, che molti sembrano avere dimenticato: il rinvio all’Alta Corte di giustizia europea del Lussemburgo del giudizio di legittimità sulle operazioni Omt proposte da Draghi (finora soltanto teoriche), a seguito di una pronuncia della Corte costituzionale tedesca che in febbraio aveva ravvisato negli Omt una violazione, da parte della Bce, del mandato ricevuto. Un giudizio sul quale aveva pesato non poco proprio la testimonianza di Weidman, che davanti alla Corte costituzionale tedesca aveva sostenuto proprio la tesi della violazione del mandato europeo da parte di Draghi.
Dati i tempi lenti della giustizia europea, la sentenza dell’Alta Corte del Lussemburgo è prevista per l’anno prossimo. Sarà senza dubbio un verdetto decisivo per le sorti dell’economia europea. Se le Omt saranno vietate, Draghi resterà senza più munizioni contro la recessione. E una simile sconfessione potrebbe anche indurlo a scelte clamorose. Se invece le Omt saranno consentite, sarà la Germania a subire una sconfitta clamorosa, che potrebbe spingere Berlino a decidere perfino se restare ancora nella Bce, e di conseguenza nell’euro. In ogni caso, fino ad allora, la ripresa dell’economia europea non avrà una base monetaria solida e certa, ma resterà soltanto una chiacchiera vuota.