Venticinque anni fa crollava il Muro di Berlino e per l’elefante dai piedi d’argilla, il fantastico e venerato comunismo realizzato da Iosif Stalin, fu la fine: sotto le macerie si depositarono i sogni infranti e le speranze planetarie spezzate della fallita liberazione dell’uomo degradata nel suo opposto, tenuto nascosto per decenni e decenni: le purghe del Grande Terrore degli anni Trenta e poi i gulag, per l’eliminazione fisica dei dissidenti, degli anni Cinquanta.
Come un miraggio, venticinque anni dopo il traumatico tracollo del mito dell’Urss e del suo micidiale protagonista, propagandati in Italia, al ritmo di adda venì Baffone o del ritornello…e noi faremo come la Russia chi non lavora non mangerà, dal Migliore paladino di Stalin, Palmiro Togliatti, irrompe sulla scena culturale Gramsci nel cieco carcere degli eretici, per L’Asino d’oro edizioni, opera uscita dalla calda, forbita e graffiante penna di Noemi Ghetti.
Un libro, un bellissimo libro, ben scritto. Di quelli, rarissimi nel vuoto di idee che caratterizza la misera epoca nazional-popolare di Matteo Renzi, che hanno il pregio di far riconciliare il lettore con il fascino della lettura che cattura attenzione e partecipazione, coinvolgimento e curiosità, per i fasci di luce diffusi sulla vicenda umana e politica di una delle migliori, se non la migliore mente pensante del Novecento, incontaminata da dogmi e verità rivelate, in testa religione e stalinismo.
Pagina dopo pagina, ci si accorge che il libro della Ghetti non è affatto un miraggio: la luce che l’autrice pone, con maestria, sapienza e stile originale, sulla nota dantesca, redatta di sua mano da Gramsci nei Quaderni del carcere, fa trasparire, emergere come dietro il sanguinoso scontro tra Dante e Cavalcanti, ce ne fosse un altro altrettantot sanguinoso: quello tra Gramsci e Togliatti, per troppo tempo sottaciuto e quando non sottaciuto, passato come un banale dissidio dovuto alle circostanze e non già a visioni dell’umanità diametralmente opposte.
Improvvisamente, a lettura ultimata, il libro, che sarà presentato venerdì prossimo a Firenze, è diventato altro, tanto si ode il crollo deflagrante di altro Muro: il pervicace silenzio, a volte, anzi spesso omertoso fino all’oscuramento, che ha imprigionato il prestigioso sardo detenuto nel carcere fascista, quel cervello non deve pensare per vent’anni, in un abito e in un ruolo non suoi: essere l’antesignano di un comunismo, la via italiana al socialismo di Togliatti, che, in realtà, non gli sono mai appartenuti.
Tanto Gramsci restò laico, anzi ateo, fino alla morte, quanto Togliatti aprì, su preciso ordine di Stalin, appena sbarcato a Salerno nel ’44 la strada al catto-comunismo con i governi di unione nazionale prima con il Maresciallo fascista Pietro Badoglio e poi con la Dc di Alcide De Gasperi.
Tanto il passionale, istintivo Gramsci prestissimo capì e criticò, senza titubanze, lo stalinismo e i suoi perfidi, connessi metodi di lotta politica, quanto il freddo e indifferente Togliatti se ne fece fiero ed orgoglioso paladino.
Gramsci, il piccolo grande uomo di cultura arrivato dalla Sardegna giovanissimo a Torino, dove ebbe un lungo e proficuo feeling intellettuale con Piero Gobetti, ha finito per vivere, meglio per sopravvivere in un carcere doppio: alla nuda e minuta, oscura e fredda cella del carcere fascista impostogli per ben vent’anni da Benito Mussolini, si aggiunse il carcere ben più duro, pesante, umiliante: quello impostogli, con fredda indifferenza e diffidenza, dal suo stesso partito che aveva fondato con Togliatti nel 1921, per esser sin troppo libero nei sottili, arguti e ferrei distinguo sullo stalinismo e i suoi metodi di lotta politica, da divenire troppo scomodo e ingombrante.
Eppure, nonostante il duro, pesante e umiliante carcere, Gramsci ebbe forza e capacità di dar vita a un nuovo umanesimo, sempre dalla parte degli oppressi, dei più deboli. E, in questa visione rivoluzionaria, secondo la Ghetti, si può apprezzare come l’identità femminile e lo sviluppo dei bambini sono questioni a cui si mostò sempre, nell’azione politica e in privato, molto sensibile e atttento.
In tal modo, la geniale idea gramsciana di egemonia culturale, ovvero di una lotta senza armi, ma solo rivoluzione del pensiero e della parola – argomenta la Ghetti – si pone oggi come la necessità storica del superamento dell’ideologia, condivisa dal logos greco e dal cristianesimo, della scissione e della cattiveria originaria degli esseri umani.
Non bastasse questo, l’autrice chiama in causa il filosofo azionista Noberto Bobbio: se è vero – si può leggere nel libro – come Bobbio scrive, che non vi può essere ortodossia che all’inizio non sia essa stessa critica e che l’ortodossia marxista è per ciò stesso, come tutte le ortodossie, una eresia, rileggere Gramsci, l’autore italiano più tradotto nel mondo insieme a Machiavelli, si rivela un fecondo esercizio di laicità. Nella grave crisi della sinistra, è necessario ripartire da qui per trovare la strada di un nuovo umanesimo.