Eliminare il piombo dalle munizioni sportive e da caccia equivale a ridurre l’utilizzo di questo metallo di circa lo 0,35% a livello globale. La stima è fatta da ANPAM (Associazione Nazionale Produttori Armi e Munizioni Sportive e Civili – Riconosciuta ONG presso l’ONU) in base ai dati dell’International Lead Association, che raccoglie i produttori di piombo a livello mondiale. Eppure, nonostante la marginalità irrisoria di questo dato – sottolinea l’associazione dei produttori – da più parti si è messa in moto una campagna per vietare l’uso delle munizioni tradizionali per il tiro sportivo e l’attività venatoria, quando sembrano davvero di altro tipo i rischi dovuti all’uso di questo metallo.
DA DOVE NASCE LA POLEMICA
I primi a mettere sotto i riflettori i problemi del piombo delle munizioni sono stati gli esperti dell’ISPRA, che hanno dato un parere con richiesta di vietare l’uso delle munizioni tradizionali nella caccia su tutto il territorio nazionale. Il parere Ispra tuttavia non è vincolante per le regioni. Poi una rivista scientifica del calibro di National Geographic, edizione italiana, ha riproposto i rischi del piombo nelle munizioni. L’allarmismo – secondo le aziende del settore – in questo caso è supportato da dati tutt’altro che scientifici.
Tra l’altro l’articolo chiude invocando una presa di posizione degli scienziati in vista della conferenza di Quito sulle specie migratorie che si apre domani. Il che induce gli osservatori del settore a pensare che la campagna è diretta in realtà contro la caccia e non contro il semplice uso di piombo nelle munizioni.
I DATI ECONOMICI
Se si dovesse arrivare al divieto di utilizzo del piombo nelle munizioni si metterebbero a rischio 145.000 posti di lavoro in Europa, di questi 20.000 sarebbero quelli persi solo in Italia, nota Anpam. Ragionando in termini di valore in Europa si valuta una riduzione di circa il 37% dell’intero fatturato, ovvero 6,7 miliardi di euro nel settore e un totale di quasi 15 miliardi di euro considerando anche i settori collegati. In Italia, partendo dallo studio sul comparto effettuato dall’Università di Urbino – Facoltà di Economia si valuta che l’eventuale divieto comporterebbe perdite nell’ordine di 1,6 miliardi di euro l’anno nel settore, per un totale “allargato” di circa 3 miliardi di euro.
USI DEL PIOMBO
Il piombo è uno dei metalli più “nascosti” ma allo stesso tempo più usati del nostro sistema di consumi, sebbene il suo impiego sia riferibile per la quasi totalità ad un solo prodotto ovvero le batterie. L’International Lead Association (www.ila-lead.org) certifica come il 98,6% del piombo utilizzato ogni anno finisca in batterie (85,1% del totale), vernici (5,5%), laminati (3,6%) e altri prodotti, mentre solo l’1,4% è alla base della produzione delle munizioni. Risulta evidente quindi – sottolineano le aziende rappresentate da Anpam – che quest’ultima è una porzione del tutto marginale del totale, se si considera infatti una divisione a metà tra usi militari da una parte e sportivi e civili dall’altra scenderemmo – con il divieto di utilizzo nelle prime – allo 0,7% del totale. Aggiungendo poi il recupero del piombo che si effettua sui campi da tiro, per obblighi di legge e per una importante economia dovuta al riciclo del materiale, ecco che la percentuale di piombo dispersa tramite le munizioni sportive e civili raggiunge a malapena lo 0,35% del totale. In più si tratta, in questi casi, di piombo in forma “elementare”, o “metallico”, ovvero relativamente inerte al contrario di quello presente nella maggior parte dei prodotti in cui è presente in forma di composto.
STUDI SCIENTIFICI
Oltre all’irrisorietà della percentuale di piombo introdotto con le munizioni sportive e civili c’è da chiarire che non esistono evidenze scientifiche che reputino il suo utilizzo, in questa forma, un pericolo per l’ambiente o per l’uomo. Al di là di un recente parere ISPRA e di una campagna generica che forse è più animalista che ambientalista – scrive Anpam in un comunicato stampa – la scienza non certifica in nessun modo i rischi dovuti all’uso del piombo nelle munizioni da caccia. Per quanto riguarda il consumo umano di carne da cacciagione le moderne tecniche di macellazione portano all’eliminazione quasi totale dei resti delle munizioni, in ogni caso due recenti documenti dell’EFSA (European Food Safety Authority) del 2010 e 2012 ribadiscono che non ci sono differenze nei livelli di piombo in soggetti più o meno consumatori di selvaggina. A conclusioni simili sono arrivati, con altri studi indipendenti, i prof. Angelo Moretto (Università degli Studi di Milano) e prof. Piermannuccio Mannucci (Direttore Scientifico Fondazione IRCCS Ca’Granda Ospedale Maggiore Policlinico, Milano), da una parte, e il prof. Christer Holmgren (Swedish Environmental Agency Consultant) insieme al prof. Ulf Qvarfort (Deputy Research Director, Swedish Defence Research Agency), dall’altra.
LE ALTERNATIVE
Conclude Anpam: “Si sente parlare infine, spesso da improvvisati esperti del settore, di alternative al piombo già pronte, magari solo più costose e per questo non introdotte dall’industria. È bene chiarire che al momento non esistono soluzioni che possano sostituire su larga scala il piombo delle munizioni da caccia e da tiro sportivo, e il motivo non è solo economico ma anche legato alla balistica e alla sicurezza di uomini e animali. Il piombo ha caratteristiche cinetiche e di modellabilità che lo rendono perfetto per le munizioni, introdurre altri metalli al momento non ha portato a risultati incoraggianti e soprattutto espone ad un rischio ancora maggiore. L’utilizzo di massa di materiali come tungsteno o acciaio non è detto sia meno inquinante del piombo, non esistono studi ampi e approfonditi che valutino il processo produttivo e insieme gli effetti sull’ambiente del loro uso”.