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Saipem, vendere o non vendere?

Che succede a Saipem? Analisti, operatori del settore e palazzi romani stanno seguendo – chi con tripudio e chi con preoccupazione – la saga che da tempo riguarda la controllata del gruppo Eni che i vertici del Cane a sei zampe intendono dismettere. A chi? Si sono fatti avanti, almeno mediaticamente, i russi del colosso Rosneft. Si sa pure che gruppi e fondi cinesi studiano il dossier, Milano Finanza ha adombrato l’ipotesi di un fondo arabo e c’è chi parla di una necessità di un aumento di capitale. Sullo sfondo resta una domanda: ma è proprio un affare per l’Italia e per l’Eni vendere Saipem?

IN BORSA

Aumentano le incertezze su Saipem, ha scritto il sito Mf-Milano Finanza sottolineando l’incasso delle pending revenues (ricavi aggiuntivi sui contratti a bassi margini per 1,4 miliardi di euro) che rischia di non far centrare il consenso sull’ebit 2015, visto a 968 milioni; si ragiona anche sul futuro assetto azionario dopo che Eni (detiene il 43% in Saipem) ha dichiarato di non vedere più la controllata come un asset core.

DOMANDE A PIAZZA AFFARI

Il mercato sta iniziando a interrogarsi sulle modalità di una possibile ricapitalizzazione, ha sottolineato MF: la più gradita, secondo gli analisti di Equita, sarebbe quella di un aumento di capitale riservato, al fine di evitare l’ingresso di nuovi partner, oppure l’emissione di un convertibile per rifinanziare il debito. Ciascuna di queste ipotesi lascia aperta la questione sull’identità del cavaliere bianco che potrebbe aspirare a entrare in Saipem. Al lavoro sul dossier per valutare la cessione delle quote in Saipem, per conto di Eni, ci sarebbe Credit Suisse, secondo la Reuters.

NUOVI SOCI IN ARRIVO?

In ambienti finanziari sta prendendo corpo l’ipotesi di un partner non industriale, che non influenzi le scelte operative, come un fondo sovrano di uno Stato con forti interessi in campo energetico: un Paese arabo, ad esempio, attraverso un aumento di capitale a premio, ipotizzano gli analisti di Equita. C’è anche chi parla di una possibile cordata italiana con Fincantieri e Cdp (“un’ipotesi dalle basse probabilità di attuazione” secondo Equita, “più complessa” per Intermonte), adombrata ieri anche da Fabio Tamburini sul Corriere della Sera; altri ipotizzano l’interesse del colosso russo Rosneft, delle major cinesi e di Seadrill.

L’ANALISI DI TAMBURINI

“La forza dell’Eni, viene detto, è sempre stata di essere un gruppo integrato – ha scritto ieri il giornalista Fabio Tamburini, già direttore di Radiocor sul Corriere Economia, il dorso del lunedì del Corsera – Le attività spaziavano dalla ricerca di oil all’engineering, dalla perforazione alla vendita di prodotti petroliferi. E proprio il ciclo integrato, viene aggiunto, è sempre stato condizione di successo perché contrasta meglio l’handicap delle dimensioni minori rispetto ai concorrenti. Negli anni scorsi è stato perso un pezzo, con il passaggio della Snam alla Cassa depositi e prestiti. Ma la scelta venne imposta dal governo e accettata dall’allora amministratore delegato dell’Eni, Paolo Scaroni, con senso di realpolitik. Nel caso di Saipem, invece, è frutto di una decisione autonoma, non condivisa da buona parte della vecchia guardia”. Anche se ora Scaroni starebbe seguendo il dossier in simbiosi – secondo le indiscrezioni raccolte da Formiche.net – con i russi.

LA VISIONE DI DESCALZI

La visione del nuovo vertice del gruppo Eni capitanato da Claudio Descalzi è diversa: secondo il nuovo ad “l’assetto attuale è anomalo perché le grandi oil company non controllano attività come Saipem. Il nuovo amministratore delegato, che ha una formazione tutta interna al mondo dell’oil, ritiene che non abbia senso mantenere il controllo di una partecipazione come Saipem, a sua volta quotata e quindi autonoma, impegnata per una parte importante delle commesse a lavorare per i concorrenti dell’Eni. Si è trasformata, di fatto, in una semplice partecipazione finanziaria. A cui si può rinunciare senza problemi in tempi come quelli attuali, che richiedono di concentrare le risorse nelle attività chiave e di fare cassa”. E ieri in Senato il capo azienda dell’Eni nel corso di un’audizione ha usato parole chiave su tutti i dossier e pure su Saipem.

ASSET SISTEMICO

Non è detto però che le necessità dell’Eni coincidano con quelle del Paese, si rimarca in alcuni palazzi romani che seguono da tempo la questione: “Saipem – ha aggiunto Tamburini – è uno dei gioielli rimasti a controllo italiano, leader internazionale nel suo settore, con dimensioni tali da attirare solo candidati esteri, gli unici che sono nelle condizioni di saldare il conto, considerando che la società vale 13 miliardi di ricavi attesi quest’anno, circa 5,7 miliardi di capitalizzazione, 23 miliardi di ordini”.

GLI OSTACOLI

Scrive Tamburini sul Corriere Economia: “C’è un ostacolo in più, e non di poco conto, sulla strada della vendita di Saipem, annunciata nei mesi scorsi dall’Eni e ora confermata: la quasi totalità degli oltre 5 miliardi di debiti è verso la capogruppo che, di conseguenza, fa da banca della controllata. È evidente che, in caso di cessione, non potrà continuare a essere così. E, di conseguenza, andrà trovata una soluzione. Ma passare dal dire al fare, come spesso accade, non è facile. Anche perché la procedura di vendita sta avvenendo sotto i riflettori e non dietro le quinte. Una scelta che, spiegano fonti vicine all’Eni, è stata fatta rispettando le regole di legge”.

ALTRE DUE INCOGNITE SECONDO IL CORRIERE

Le difficoltà aumentano considerando altre due incognite: il procedimento giudiziario in corso per presunte tangenti legate a commesse in Algeria e il crollo dei prezzi del petrolio. “Sulle prime c’è poco da aggiungere, se non che rappresentano una variabile di non poco conto – si legge sul Corriere Economia – Per quanto riguarda l’andamento delle quotazioni del greggio, la raffica dei ribassi è partita in giugno, modificando uno scenario che negli ultimi anni aveva visto i prezzi oscillare sopra i 100 dollari al barile. Il titolo Saipem, che aveva toccato i 21 euro, ne ha risentito e ha perso quota. Una caduta che si è trasformata in crollo, precipitando a poco più di 12 euro, come non accadeva dal giugno 2009. Il vertice dell’Eni fa sapere che per la vendita non c’è fretta e che c’è tutto il tempo per neutralizzare le perdite o trovare la soluzione. Resta il fatto che le circostanze avverse ridanno fiato alle perplessità sulla scelta di Descalzi”.


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