Mi rifiuto di cadere nella sindrome da rassegnazione impotente: la settimana che ci lasciamo alle spalle è stata dominata dal ricordo della caduta del Muro di Berlino il 9 novembre 1989 e abbiamo fatto bene come giornali e televisioni a replicare quelle immagini di gioia e disperazione che hanno segnato un evento epocale. Abbiamo fatto bene perché ai nostri giovani venisse raccontato cosa ci ha insegnato la storia recente. Una storia ricca di valori con la vittoria dell’ordine liberale su quello socialista;con l’avvento della scomparsa del bipolarismo Usa-Urss e la dissoluzione della frattura Est-Ovest; e carne della nostra carne sul piano europeo, un nuovo equilibrio tra le potenze e un rinnovato slancio d’integrazione e su quello interno tedesco, con la rinascita di una Germania nuovamente unita.
Venticinque anni dopo, tuttavia, molte delle promesse che questo evento aveva prospettato per un mondo nuovo sono messe in dubbio. L’imprevedibilità dei fenomeni internazionali sembra segnalare che il maggior lascito della caduta del Muro sia l’evidenza della difficoltà di un nuovo ordine basato sull’egemonia occidentale, che tanto apparve scontato allora. Nuovi muri, simbolici di nuove fratture e nuovi contrasti, condizionano l’attuale sistema internazionale e hanno anche un elemento non solo di rapporto con la situazione italiana che non possiamo sempre addebitare a condizioni esterne. Assumiamoci dunque come popolo, come gente intelligente e responsabile i nostri doveri. Noi italiane e italiani sostanzialmente e concretamente liberali dobbiamo gestire i dividendi di una pace tra cultura socialista e cultura liberale, tra chi ancora vive nell’ideologia che una sopraffazione culturale su di una ideologia liberale possa dominare. Bisogna passare dalla teoria che si deve governare con equilibrio e insieme per il bene comune alla prassi. Con la crisi economica e la fine della deferenza asiatica nei riguardi dell’egemonia occidentale, quindi con il risentimento anti-occidentale alimentato dal risveglio islamico, si assiste oggi a un continuo mutamento nei livelli di legittimità. La democrazia liberale non appare più in grado di soddisfare il desiderio di riconoscimento, almeno a un livello tale da trasformare la potenza materiale e assorbirla nella legittimità. Da una parte, torna dunque centrale una riflessione classica sul potere, quindi su una visione della potenza che includa la legittimità senza però diluirla in un visione cosmopolitica, cioè ispirata dall’ideale della modernizzazione fine a se stessa. Dall’altra, appare sempre più evidente che le diseguaglianze geopolitiche, economiche e sociali rimangono fonti di conflitto tra differenti forme di riconoscimento. Ciò genera e alimenta un alto contenuto d’imprevedibilità dei fenomeni internazionali sui quali è necessario essere almeno informati e consapevoli. Per ciò che riguarda noi italiane e italiani. Il teatrino di questi giorni tra renziani berlusconiani e pentastellati umilia la nostra intelligenza per maggioranze variabili “pur di stare al potere”. Si torna sulla legge elettorale perché si andrà come abbiamo già detto e ripetuto a votare e si continua con aria ingorda a vedere il seggio del Quirinale in squallida gara.
Intanto l’Ue per la zona euro prevede una crescita lentissima e la fiducia inesistente, la fragilità dei mercati, l’inattuazione delle riforme e per l’Italia -0,4%. Risanamento finanziario ed espansione sono compromessi nonostante l’intervento della BCE Draghiana che ha dato liquidità al sistema per combattere la deriva deflazionistica. Obama, sconfitto rischia di complicare un quadro geopolitico già molto turbolento, con la “guerra dell’energia “ contro Putin. Renzi ha aperto con la Commissione Europea uno scontro titanico e la distanza sempre più larga che ci separa dai tedeschi, per visioni divergenti, per le diverse sensibilità personali, non rafforza la posizione dell’Italia in un momento in cui la nostra politica di bilancio deve passare il vaglio europeo e le grandi partite in corso nell’eurozona e nel mondo richiedono più che mai credibilità e capacità negoziale. Il tutto con il pericolo reale che le grandi banche Americane ci massacrino anche passando da una vendetta contro Draghi ( che è rimane l’unico vero nostro talento).La nostra debolezza nel contesto europeo e quella strutturale della nostra economia ci rende oltremodo fragilissimi. Basta dunque con la vecchia teoria dell’ultimo giapponese: caro Presidente del Consiglio in Europa non è come a casa, dove la logica “molti nemici, molto consenso” funziona. Servono dossier ben preparati e ben studiati e alleanze vere. Attenzione: si stanno ponendo le basi per realizzare l’unione bancaria, cioè la prima integrazione importante dopo quella monetaria, e sbagliare mosse significa un indebolimento permanente di una struttura portante del sistema economico. Le regole con cui si sono fatti gli esami alle banche e si eserciterà la vigilanza in futuro non sono fastidiosi dettagli tecnici che interessano ai banchieri, ma decidono su chi conterà nel sistema creditizio europeo – e quindi mondiale, proprio ora che il Financial Stability Board si appresta a presentare al prossimo G20 la proposta di aumentare ancora i requisiti di capitale per gli istituti cosiddetti “globalmente sistemici” – ed essersene disinteressati, come hanno fatto gli ultimi governi italiani, è colpa grave. Così come occuparsi, sia come governo nazionale che in sede comunitaria, del TTIP, il partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti da cui dipendono le sorti del nostro comparto manifatturiero, non è una noiosa perdita di tempo, ma un impegno di governo fondamentale (anche se non spendibile mediaticamente). Poi ci sono gli interessi da salvaguardare a Bruxelles per la nostra politica economica. E bisogna essere autorevoli non solo per far campagna elettorale ma soprattutto per aver fatto con diligenza i compiti a casa. Evitando, per esempio, di dire non verità sulle poste del bilancio dello Stato.
Abbiamo sei settimane tolte le feste di Natale, alla fine del semestre europeo a guida italiana e il rischio è che il periodo si chiuda senza che abbia lasciato traccia alcuna. Dunque coraggio e forza morale: dimostriamo di essere capaci di prendere un’iniziativa capace di cambiare di segno al corso della vita comunitaria. Altrimenti, ci toccherà fare i conti – ancora una volta – con i mercati finanziari, che si sono messi come squali in attesa di dare un nuovo assalto ai nostri titoli di Stato e all’euro. E questa sarà mortale rispetto a quello del 2011.