Un plauso: bravo, anzi bravissimo, a Pierluigi Battista per aver sul Corsera denunciato a chiare lettere l’amnesia sulla storia socialista di tanti smemorati di Collegno: politici, politologi, storici, intelettuali. Così dal forbito pennino acuminato di Battista spuntano parole nuove da qualche tempo entrate nel lessico giornalistico: cancellazione, sparizione, annichilimento e dimenticanza, tutte riferite ad ogni sia pur minimo frammento che ricordi la tradizione socialista italiana
Si domanda il coraggioso Battista: se persino un post assoluto come Matteo Renzi, uno che con la tradizione comunista non ha niente a che fare e anzi sta smantellando ogni traccia residuale di ideologismo di marca comunista, se persino lui, senza nemmeno avvedersene, schiaccia tutta la storia della sinistra italiana come emanazione del Pci, che segno è? Dice Renzi che la sinistra nemmeno votò a favore dello Statuto dei lavoratori con l’articolo 18.
Poi per onestà intellettuale? o pura contrapposizione? Battista precisa: ma come, lo Statuto dei lavoratori è stato fatto dalla sinistra, quella socialista. Il padre dello Statuto è stato un socialista, Giacomo Brodolini e il suo ispiratore un grande giuslavorista socialista, Gino Giugni. E invece passa l’idea che la sinistra sia stata contro. Nota ancora il saggio Battista, il socialismo espulso dalla storia e dalla sinistra. Una dimenticanza. Ma molto eloquente.
L’ottimo preludio, purtroppo, si ferma qui e come un bel dolce improvvisamente fattosi amaro o come un coito interrotto, arriva il triste epilogo inatteso. Qui è solo il trionfo del più vieto luogo comune, l’incapacità di capire, secondo gli stereotipi del senso comune, quanto sia stato importante il riformismo socialista nella storia italiana fino a Bettino Craxi, anzi soprattutto con l’accelerazione modernizzatrice impressa da Craxi, mentre il Pci ancora non aveva spezzato il legame di ferro con le mitologie del comunismo realizzato. Un luogo comune così pervasivo – conclude Battista – da sfiorare persino un campione della politica post-ideologica come Renzi.
La storia socialista di Brodolini e Giugni pare essere venuta dal nulla, mentre dietro di sè ne ha, quale fonte e diretta emazione, un’altra che, seppur si procede – damnatio memoriae! – per cancellazioni, sparizioni, dimenticanze e annichilimenti, resta lì, viva e vitale, a parlare di se e di come fu scritta, incisa su pietra, da uomini di cultura assai profonda, riformatori tutti d’un pezzo, integerrimi per onestà e rigore, immuni dal trasformismo: Riccardo Lombardi, Antonio Giolitti, Fernando Santi, Fausto Vigevani fino a Vittorio Foa, Peppino Di Vittorio e Bruno Trentin. Avevano nei loro pensieri la povera gente, i lavoratori, e per essi sognarono, a occhi aperti, una società più ricca perchè diversamente ricca, di esseri umani liberi e uguali.
Far approdare questa bella originale storia socialista all’epilogo disastroso di Bettino Craxi, di quel socialismo pasticcione di nani e ballerine, di vassalli, valvassori e valvassini, di logge e loggette massoniche, di cavalieri di tavole rotonde e maestrini di meriti e bisogni, mentre viaggiavano sottotraccia e sulle rotaie tangenti e mazzette, suona come una gran caduta di stile, meglio come un insulto alla memoria storica.