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Ecco come Eba e Bce hanno favorito le banche tedesche negli stress test

Pubblichiamo grazie all’autorizzazione del gruppo Class Editori e dell’autore, l’articolo di Tino Oldani uscito sul quotidiano Italia Oggi diretto da Pierluigi Magnaschi.

C’è qualcosa che non convince nei risultati degli stress test. Questi esami dovevano testare la solidità patrimoniale delle 128 maggiori banche europee, ma questa solidità è stata misurata sulla base di regole che, per quanto stringenti , a conti fatti non lo sono state del tutto, visto che non hanno tenuto conto dell’ammontare dei derivati. Trattandosi di titoli potenzialmente tossici, la lacuna è tale da indebolire il giudizio finale della Vigilanza Bce.

Certo, stabilire l’ammontare dei derivati in pancia alle maggiori banche europee non è cosa facile: i contratti derivati sono scritture elettroniche di cui non c’è traccia nei bilanci ufficiali. Qui l’opacità regna sovrana. Una realtà ben diversa da quella degli Stati Uniti, dove l’Occ (Office of the comptroller of the currency), una struttura pubblica, proprio per evitare che si ripetano crisi come quella del 2008, pubblica ogni tre mesi un rapporto in cui stima l’ammontare dei derivati che fanno capo alle maggiori banche Usa.

Due settimane fa, su ItaliaOggi, ho ricordato che ciascuna delle prime cinque banche Usa ha un’esposizione ai derivati superiore a 40 mila miliardi di dollari (40 trilioni), importo superiore all’intero debito nazionale del Tesoro degli Stati Uniti, che è di 17,7 trilioni. La Deutsche Bank ha un’esposizione ai derivati stimata in 75 mila miliardi di dollari (75 trilioni), somma pari a 5 volte il pil europeo. Un azzardo mostruoso. Eppure la Deutsche Bank, sulla cui solidità circolano da tempo parecchi dubbi, ha superato gli stress test in carrozza, al pari di altre banche tedesche, soprattutto regionali, che secondo le previsioni del maggior quotidiano economico tedesco, Handesblatt, rischiavano la bocciatura, anche a prescindere dall’esposizione ai derivati.

Come si spiega? I tecnici della Banca d’Italia hanno fornito la spiegazione più convincente: le banche tedesche, al pari di quelle francesi e di altri paesi dell’eurozona, hanno superato gli stress test soltanto grazie ai cospicui interventi finanziari ricevuti dai rispettivi governi nazionali. Citando dati ufficiali di Eurostat, il vicedirettore generale di Bankitalia, Fabio Panetta, ha precisato che tali interventi sono stati pari a 250 miliardi di euro in Germania, 60 in Spagna, circa 50 in Irlanda e Paesi Bassi, 40 in Grecia, 19 in Belgio e Austria, 18 in Portogallo. E l’Italia? A parte i 43 miliardi di aumenti di capitali del settore privato, da noi l’intervento pubblico a sostegno delle banche nel corso di questi anni è stato di appena 4 miliardi. Per Panetta, se le nostre banche avessero ricevuto soltanto un terzo degli aiuti ricevuti dalla banche tedesche, «avremmo un surplus di 77 miliardi».

Quest’ultimo dato, da solo, basta e avanza per dire che è sbagliato piangersi addosso per la bocciatura del Monte dei Paschi e della Carige. Il sistema bancario italiano «è solido», ha sostenuto giustamente la Banca d’Italia. E il premier Matteo Renzi ha ripetuto lo stesso concetto, aggiungendo che ora è compito delle banche bocciate, e non del governo, fare tutto il possibile per rientrare nei parametri. Giusto. Ma di fronte agli attacchi che i giornali inglesi e tedeschi hanno immediatamente lanciato contro il suo governo, poteva dire ben altro. Il Financial Times scrive, esagerando, di «Italia sotto pressione», mentre Bild parla di «bilancio spaventoso» degli stress test per il nostro paese, e colloca Renzi nella colonna dei perdenti.

Guarda caso, sembra che tutti abbiano scordato tre parole, «aiuti di Stato», che fanno la vera differenza tra l’Italia e il resto d’Europa. Ricordate? Appena il governo di Mario Monti varò 4 miliardi di Monti Bond per salvare il Monte Paschi, il commissario Ue alla concorrenza, Joaquin Almunia, aprì all’istante una procedura d’infrazione contro l’Italia per aiuti di Stato a una banca, vietati dalla Ue. Lo stesso Almunia, però, non aprì bocca quando tra il 2008 e il 2012 la Germania versò 64 miliardi di denaro pubblico per ricapitalizzare le sue banche e altri 80 miliardi per la ristrutturazione delle attività tossiche (dati ufficiali del database della Commissione Ue). E sempre Almunia non ebbe a dire nulla quando, nel febbraio 2013, la Francia ha salvato con 16 miliardi di denaro pubblico il Credit Immobilier de France, dopo avere fatto la stessa cosa per la Banque Psa (7 miliardi) e per il gruppo Dexia (garanzie per 33 miliardi), per un totale di 65 miliardi.

Il nostro non è vittimismo. Fatti e numeri dimostrano, ad abundantiam, come anche nel settore delle banche vi sia un’Europa con due pesi e due misure, di cui l’Italia è da tempo la vittima preferita. Su questo ha inciso la debolezza politica dei governi del passato. E Renzi, se vuole cambiare verso per davvero, non può continuare a ignorare questa anomalia. Altrimenti l’Europa sarà sempre più simile alla Fattoria degli animali, dove alcuni sono più uguali degli altri.



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