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Ecco gioie e lacrime sul voto anti-Google dell’Europarlamento

Il Parlamento europeo ha approvato lo “scorporo” di Google: Strasburgo ha votato a netta maggioranza la risoluzione non vincolante in cui si chiede la separazione dei servizi di ricerca online dagli altri servizi commerciali. Google non viene esplicitamente nominata ma è chiaro che la mossa sia contro Mountain View: se sarà effettivamente applicata, metterebbe a repentaglio il modello economico del gigante del web che attraverso la ricerca gratuita ottiene informazioni sui suoi utenti che poi utilizza per i servizi di pubblicità e marketing online da cui deriva la gran parte dei suoi profitti.

Per il Parlamento Ue “l’indicizzazione, la valutazione, la presentazione e la classificazione effettuate dai motori di ricerca devono essere imparziali e trasparenti”. Inoltre, Francia e Germania hanno fatto una richiesta congiunta alla Commissione Ue con l’obiettivo di lanciare una consultazione pubblica sugli Over the top, i giganti di Internet come Google o Facebook che offrono servizi online ma senza disporre di una propria infrastruttura di rete.

Le proteste dei politici e delle associazioni industriali americane si erano già fatte sentire prima del voto di Strasburgo. Ma ora anche gli osservatori di casa nostra cominciano a leggere tra le righe: la crociata del Parlamento europeo contro Google è veramente fatta a beneficio dei consumatori e dell’innovazione o assomiglia in maniera preoccupante a un’azione di lobby a tutto vantaggio degli editori europei?

L’EUROPA PROTEGGE LE SUE AZIENDE, NON I CONSUMATORI 

Il voto dell’Europarlamento è il più recente e drammatico attacco di Google-fobia in Europa, commenta una testata americana.

L’ex commissario europeo alla Concorrenza Joaquín Almunia ha cercato degli accordi con Google per dare maggiore rilievo ai suoi concorrenti nei risultati della ricerca, ma il messaggio degli europarlamentari oggi è chiaro: la nuova commissaria all’Antitrust Margrethe Vestager dovrà essere molto più dura. Ma è davvero preoccupante il dominio di Internet esercitato da Google? Google controlla il 68% delle web search in America e più del 90% in molti Paesi europei. Come Facebook, Amazon e altri colossi tecnologici, beneficia degli effetti di “rete” per cui il successo di un suo servizio si riverbera sugli altri suoi servizi. Raccoglie più dati di ogni altra azienda e li usa abilmente per ricavarne profili dei suoi utenti. Non c’è dubbio che sia un player dominante. Ma abusa di questa posizione? Per gli osservatori americani non è così. in più le strategie di Google, se rendono la vita difficile ai concorrenti, beneficiano i consumatori: le persone risparmiano tempo e accedono a una molteplicità di servizi gratuitamente.

Per gli americani, inoltre, i governi dovrebbero regolare i player dominanti di Internet con “mano leggera” rispetto ai monopoli offline. Questo dovrebbe avvenire perché le barriere all’ingresso sono più basse nel mondo digitale: prodotti come Instagram, WhatsApp o Slack hanno potuto entrare e diffondersi molto facilmente. Costruire un rivale di un incumbent fisico (pensiamo a una telco) è molto più difficile e costoso che costruire un rivale di un player dell’online: ecco perché nel mondo fisico la concorrenza è minore e occorre un vigilanza più attenta. Su Internet la concorrenza è tanta, perché le start-up continuano a nascere e a minacciare gli incumbent (tanto che a volte ne vengono acquisiti, come ha fatto Facebook con WhatsApp).

La storia dei monopoli tecnologici insegna anche che le aziende dominano finché i loro prodotti restano attuali e non entrano sul mercato prodotti nuovi molto più innovativi. Facebook sta già erodendo parte delle entrate pubblicitarie di Google, sottolineano alcuni addetti ai lavori. Inoltre, il successo dei device mobili fa sì che gli utenti preferiscano l’uso delle app all’accesso da web e molte app non passano per il motore di ricerca di Google o i suoi siti. E’ quindi il mercato a decidere in ultima istanza chi vince e chi perde.

Perciò, agli occhi degli americani, il Parlamento europeo e la sua Google-fobia nascondono solo due ragioni: il desiderio di proteggere le aziende europee, in particolare gli editori (guidata dai tedeschi di Axel Springer e Hubert Burda Media) e i timori legati alla privacy. Tuttavia, osservano gli americani: “Invece di attaccare le aziende americane di successo, i leader europei farebbero bene a chiedersi perché il loro continente non ha prodotto dei Google o dei Facebook”. E sulla privacy. “E’ giusto limitare il potere di aziende come Google e Facebook di usare i dati personali, ma per affrontare la questione, l’Europa dovrebbe regolare il comportamento delle aziende, non il loro potere di mercato”.

LA GRANDE OMBRA DEGLI EDITORI

L’Europa vuol fare a pezzi Google per difendere le lobby degli editori, anche secondo Wired, che scrive: “Il Parlamento europeo dimostrerà la sua distanza dai cittadini, la sua estraneità ai meccanismi dell’innovazione e la sua scelta di campo in favore di alcuni editori tradizionali”. Senza contare che il provvedimento disegnato su Google “rischia di tagliare le gambe anche alle aziende europee” che – come la multinazionale americana – hanno attività diverse, non solo la ricerca. “Si tratta di un voto politico, che non avrà ricadute immediate se non far crescere la pressione sulla Commissione”, che deve ancora decidere sull’inchiesta antitrust nei confronti di Google avviata cinque anni fa (e di cui si dovrà occupare la nuova commissaria Vestager).

Wired fa notare che la risoluzione dell’Europarlamento è stata sollecitata da un parlamentare tedesco, Andreas Schwab, molto vicino al gruppo editoriale Axel Springer, capofila nella battaglia che si trascina ormai da diversi anni che vede diverse lobby degli editori tradizionali contrapporsi a Google in tutta l’Europa continentale.

I dati di mercato dimostrano che la concorrenza al motore di ricerca americano è aumentata ma “i fatti contano poco, per chi ha deciso di fare di questa battaglia una crociata politica, nel contesto della contrapposizione più ampia che vede l’Europa schierata contro gli Over the top e le piattaforme digitali americane, da Google ad Amazon, da Facebook a Netflix”, conclude Wired.

UN VOTO CONTRO L’INNOVAZIONE

“Il Parlamento europeo pensa di aver votato contro Google. In realtà ha approvato una risoluzione contro l’innovazione”, stigmatizza La Stampa, dando spazio all’opinione del direttore di Wired Italia. Di che cosa ha paura l’Europa? Soprattutto “del potere crescente delle grandi piattaforme digitali. Non si tratta solo di Google, nel mirino per presunte violazioni del copyright, per questioni fiscali e per la sua posizione dominante nel mercato della ricerca, della pubblicità, dei sistemi operativi mobili, con Android. In buona compagnia – come osservate speciali – ci sono Amazon, Apple, Facebook, per non dimenticare Airbnb e Uber, che mettono a repentaglio con i loro modelli innovativi l’industria alberghiera e il settore dei taxi”.

“Quel che rischia di passare in secondo piano, tuttavia, è il danno collaterale di questa battaglia”, continua il quotidiano italiano. “Se la risoluzione di ieri diventasse legge, significherebbe che nell’Unione non potrebbero più crescere società che si occupino sia di ricerca, sia di altri servizi. È proprio questa attitudine culturale, che vede sempre il rischio prima dell’opportunità, che rischia di farci perdere la corsa all’innovazione, l’unica forza che può rimettere in moto in modo stabile la crescita e l’ascensore sociale nei nostri Paesi. Non è un caso se Google & C. sono nate nella Silicon Valley e non in riva al Reno o nella pianura Padana”.

IL VERO RUOLO DELL’ANTITRUST IN EUROPA

Certo, Google è un concorrente temibile per molti e ha un dominio a tratti pervasivo. Ma “l’insofferenza non deve mascherare la non volontà o incapacità dell’Unione europea di riuscire ad agevolare processi e aziende che possano essere competitivi con quelli negli Stati Uniti”, scrive Il Corriere della Sera nell’editoriale odierno firmato dal vicedirettore con delega all’economia, Daniele Manca. “C’è da chiedersi se sia normale che l’inchiesta dell’Antitrust europeo relativa a Google duri ormai da 4 anni. La variabile tempo è decisiva nei processi economici”.

Che Google piaccia o no, nessuno può negare che sia un’azienda in prima fila nell’innovazione che tutti i concorrenti rincorrono. “Larry Page, il fondatore alla guida di un gigante da 55mila dipendenti, vuole a tutti i costi essere in ogni angolo del futuro prossimo venturo. Anzi, vuole immaginarlo: dalle nanopillole che ingerite renderanno possibile identificare i malanni, ai palloni aerostatici che permetteranno la diffusione di Internet in ogni dove, alle turbine a vento nell’atmosfera, ai laboratori di ricerca che vogliono riscrivere le regole della medicina. Avere mezzi e capacità di visione di tale portata è ammirevole”, osserva il Corsera con il vicedirettore Manca. E proprio da questo “nasce la necessità di regole condivise, di grandi scelte che attendono l’Europa sulla privacy, sul fronte dei mercati digitali, sulla neutralità della Rete che sinora sembra aver avvantaggiato solo chi offre servizi e non chi crea infrastrutture. Non ci si può limitare ad alzare la voce sulla privacy o su singoli segmenti di mercato come quello dei motori di ricerca e della pubblicità. A questo dovrebbe servire, e sarebbe molto più corretto, l’Antitrust. Soprattutto se la neocommissaria Margrethe Vestager non attenderà altri 4 anni per sanzionare o meno abusi di posizione dominante”.



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