Pubblichiamo grazie all’autorizzazione del gruppo Class Editori e dell’autore, l’articolo di Tino Oldani uscito sul quotidiano Italia Oggi diretto da Pierluigi Magnaschi.
Se è davvero così, se i famosi 300 miliardi di euro promessi da Jean Claude Juncker per fare ripartire l’economia “sono solo un sogno”, come sostiene l’economista Daniel Gros, che dirige un think-tank a Bruxelles, allora è inutile illudersi: l’unica istituzione europea in grado di mettere in campo le risorse concrete per schiodare l’economia dalla recessione è la Banca centrale europea, guidata da Mario Draghi. Ma, per riuscirci, dovrà superare due ostacoli non facili: Jens Weidmann, presidente della Bundesbank, e la cancelliera Angela Merkel. Una partita a tre, cruciale per il futuro dell’Europa.
La settimana scorsa, il presidente della Bce ha fatto la prima mossa. Al termine del consiglio direttivo, dopo avere ridimensionato i rumors sui contrasti interni al board, secondo i quali i Paesi baltici e l’Olanda si sarebbero schierati con il tedesco Weidmann su posizioni a lui ostili, Draghi ha annunciato che la Bce si propone di espandere il proprio bilancio di mille miliardi, portandolo sui livelli del 2012, a tremila miliardi. Un dato, i mille miliardi in più, che in conferenza stampa Draghi ha dato per acquisito, risorse da destinare a «misure non convenzionali, se necessarie», proprio per contrastare la deflazione e la recessione. Come altre volte, però, Draghi è stato smentito il giorno dopo da Weidmann, il quale ha precisato che l’estensione di mille miliardi del bilancio Bce è solo “un’ipotesi e non un obiettivo”. L’ennesima conferma che la Bundesbank, fautrice di una politica di austerità e di rigore monetario, rimane contraria a qualsiasi ipotesi di “quantitative easing”, vale a dire ad acquisti da parte della Bce di titoli di Stato dei Paesi europei in crisi.
Nel suo mirino ci sono soprattutto due Paesi: il 13 ottobre, in una dichiarazione mai smentita, Weidmann ha sostenuto che Italia e Francia, “sempre più in ritardo nel fare le riforme”, sono diventati due «sorgenkinder» in Europa, vale a dire “bambini problematici”. Parole offensive a cui, in Italia, nessuno ha replicato. È invece assodato che, con simili battute, Weidmann si è conquistato un ruolo di beniamino presso il ceto medio tedesco, che lo considera l’unico vero difensore dei propri risparmi. Forse più della stessa Merkel.
Ora, però, è proprio su questo terreno, i rapporti con la Bundesbank, che anche la signora Merkel è chiamata a misurarsi. Brillante economista, Weidmann per alcuni anni è stato un alto dirigente della Cancelleria di Berlino, e la Merkel, di cui era l’ascoltato consigliere economico, non dava inizio alle riunioni se non dopo essersi assicurata della sua presenza. Un rapporto personale e professionale molto stretto, che all’inizio del 2011 consentì al giovane Weidmann (aveva 43 anni) di fare un salto di carriera enorme, diventando a sorpresa il capo della Bundesbank. Il precedente governatore, Alex Weber, noto per il pessimo carattere, proprio mentre era in corsa per diventare presidente della Bce (posto poi preso da Draghi), si scontrò con la Merkel e con il ministro delle Finanze, Wolfgang Schauble, da lui accusati non essersi opposti con la dovuta energia ai primi acquisti di titoli di Stato da parte della Bce. E dopo una riunione burrascosa, si dimise per “ragioni personali”.
Al posto di Weber, convinta di scegliere l’uomo giusto, la Merkel nominò Weidmann. Ma non per questo, da allora, l’indirizzo anti-Bce della Bundesbank è cambiato. Anzi. Legatissimo a Weber, di cui era stato allievo da studente, Weidmann ne ha ereditato non solo lo spirito di forte indipendenza che caratterizza la Bundesbank, ma anche il dogmatismo ostile all’acquisto di titoli di Stato da parte della Bce. A questo si aggiunge il fatto che il relatore della sua tesi di laurea è stato il monetarista tedesco Manfred Neumann, che nel 2013 è stato tra i primi firmatari di un manifesto di 136 economisti contro il piano Omt (acquisto di titoli pubblici) di Draghi, accusato tra l’altro di provocare un’inflazione come quella di Weimar, che portò la Germania al disastro e al nazismo. Tesi che, alla prova dei fatti, si è rivelata infondata, frutto di un pregiudizio anti-italiano molto diffuso anche tra gli economisti tedeschi. Con loro, Weidmann è pappa e ciccia. E la Merkel, che finora ha sempre mediato tra Draghi (che stima) e Weidmann (che ha creato), prima o poi dovrà scegliere con chi stare, e dimostrare se è davvero la degna erede di Kohl. In gioco, ci sono mille miliardi.