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Il Fisco in mano ai marziani. Legge di stabilità o di stupidità?

Fisco-flop boomerang per le casse erariali. Misure che l’evasione la creano e la diffondono capillarmente, piuttosto che contrastarla. Chi conosce le tecniche di lotta all’evasione (dalla vita pratica, piuttosto che dai libri) è sconfortato davanti un Fisco oramai consegnato nelle mani di …marziani.

A decidere i dettagli che contano sono – evidentemente – gran commis di Stato e professori, ebbri di ossessione moralistica anti-evasione, che però vivono in un altro mondo, non conoscono la vita reale, ignorano com’è fatto un contribuente in carne e ossa, non sanno vedere l’abisso che corre fra il profilo di impiegato quello di una partita Iva, non hanno l’umiltà di studiare il passato.

MINIMI, ORA IL FLOP FARA’ IL BIS (E GLI EVASORI RINGRAZIANO)

Cominciamo dal settore dei “piccoli”, ovvero delle partite Iva che fatturano non più di 30/40mila euro all’anno (i cosiddetti contribuenti minimi). Per favorirli – giustamente – il governo vuole introdurre una maxi-agevolazione fiscale. Dov’è, dunque, il problema? Nella mancanza di presìdi anti-abuso che, in futuro, impediscano ai falsi minimi (ovvero, a quelli che in realtà incassano più del limite) di intrufolarsi fra i minimi veri e così pagare zero-tasse. A norma di legge. Senza che – per come sono organizzati i sistemi di controllo – si possa mai pizzicarne uno solo, neppure attraverso i famigerati controlli successivi.  E’ tutto accaduto già una prima volta. La norma in arrivo, infatti, è l’edizione-fotocopia di una recente misura-monstre che, sottotraccia, aveva già una prima volta cagionato all’erario, su base annua, miliardi e miliardi di danni. In termini di tasse versate in meno rispetto agli anni precedenti. Si tratta della agevolazione entrata in vigore nel 2008 (legge 244/2007). La quale, però dopo quattro anni fu spazzata via dal governo Monti a luglio 2011 (articolo 27 decreto legge n. 98) proprio perché i numeri spropositati delle adesioni smascherarono il buco. Il nuovo sistema di agevolazione consentiva infatti anche a soggetti più grandi di confondersi impunemente fra i minimi. Fino a che l’esercito dei falsi minimi raggiunse la quota incredibile di oltre mezzo milione.

Stiamo parlando di partite Iva (tuttora destinate a rimanere anonime) le quali, all’indomani della legge agevolativa di fine 2007, pur di essere ammesse al maxi-sconto fiscale (il vantaggio era subordinato al fatto che i ricavi annui dichiarati restassero sotto i 30mila euro) fecero crollare i propri ricavi ufficiali (su cui fino a quel momento avevano pagato Iva, Irap, etc.), fatturando totalmente in nero, grazie alla nuova legge, gli introiti extra-soglia. L’entità dello sconto (70-80% rispetto al dovuto) e – soprattutto – la prospettiva certa di non essere più rintracciabili dal Fisco – portò a un dilagare incontrollato del fenomeno illecito. Che nell’anno d’imposta 2011 raggiunse la cifra record di 768.428 partite Iva, tutte con il privilegio della tassazione quasi a zero (si veda qui, documento del Dipartimento delle Finanze, pagina 3, nota 2 ). Le preoccupazioni che ispirarono la brusca inversione di rotta del luglio 2011 furono candidamente rivelate il 4 ottobre 2011, in prima serata Rai, dall’ex direttore delle Entrate Attilio Befera (clip video in basso). Cosa ha insegnato questa esperienza costata ai contribuenti molti miliardi all’anno? Nulla, assolutamente nulla! Ora l’errore sta per essere replicato uguale uguale. In attesa del prossimo dietrofront che questa volta – c’è da scommettere – sarà più rapido del primo.

CROLLO DEL GETTITO IN ARRIVO (E GLI EVASORI RINGRAZIANO)

C’è tuttavia una seconda misura in arrivo che – se malauguratamente varata dal Parlamento – porterà effetti ancora più deleteri. Ricordate il Redditest? Doveva ‘impressionare’ il contribuente e indurlo in modo “spintaneo” a pagare più tasse, mostrandogli a video, in anticipo, la maggior somma calcolabile dal Fisco sulla base dei beni “di lusso” posseduti. Il meccanismo, com’è noto, fallì miseramente e lo strumento fu archiviato, poco più di un anno fa, poiché basato su una pura elucubrazione cerebrale. Un marchingegno che non teneva conto di come funziona il contribuente vero, avendone presente viceversa una figura astratta, ovvero quella “di carta” immaginata nel modello teorico.

Anche su questo fronte ora è in arrivo un errore-fotocopia, dalle conseguenze estremamente gravi per la tenuta delle Entrate. Ignaro del primo flop sul Redditest, il Fisco prova nuovamente a ‘impressionare’ il contribuente minacciandolo – analogamente – di mostrargli a video tutti i dati presenti in Serpico, nella convinzione che costui si spaventi quando si accorge che il Fisco “sa” un sacco di cose su di lui.  La speranza del Fisco  (come fu per il rovinoso Redditest) è di far sì che il contribuente si senta ‘spinto’ a pagare le tasse in misura maggiore rispetto al passato. Ma proprio per agevolare questa propensione, il meccanismo prevede ora un secondo pilastro. Al contribuente viene invero garantita una sanzione ridotta (di entità simbolica), qualora egli ci ripensi, dopo la dichiarazione, e si mostri disposto a pagare tasse aggiuntive, riferite a importi fuori-dichiarazione. Per comprendere meglio di cosa parliamo bisogna fare un passo indietro. A novembre 2008, con l’articolo 27 del decreto legge n. 185, fu introdotta la possibilità, per ogni contribuente assoggettato a controllo in azienda, di inibire al Fisco tutte le maxi-sanzioni teoricamente irrogabili a conclusione della verifica in atto, a fronte di qualsiasi violazione fiscale constatata dai controllori.

Questo in cambio della disponibilità a versare per intero, a verifica conclusa, il maggior tributo evaso, nelle dosi e nella misura conteggiati dai verificatori, con la sola aggiunta di una mini-sanzione ridotta al 12,5 per cento. Seguirono all’epoca vivaci polemiche (“è un condono permanente!”, si affrettò a stigmatizzare la nota trasmissione Rai, Report).  Ma le rimostranze ebbero l’effetto semplicemente di ritoccare all’insù di pochissimo il “prezzo” di quello che – non a torto – fu salutato come la preventiva garanzia per tutti di un futuro condono permanente (in pratica, la mini-sanzione a sanatoria fu portata dal 12,5% alla misura tutt’ora vigente, pari al 16,6%). Quella volta Report aveva ragione. Il meccanismo spinge infatti a dichiarare sempre meno dentro il modello Unico/730. Il contribuente, invero, scommette sul fatto che il controllo vero e proprio arriverà solo in un numero sparuto di casi. Ma, pure ove dovesse arrivare, la legge garantisce in partenza un paracadute che azzera (quasi) il peso delle future sanzioni. E, allora, una volta capito che, dichiarare meno che si può non porterà sanzioni, il contribuente sarà spinto a non dichiarare più tutto quanto dovuto, fin dal primo momento.

Dichiarando meno, pertanto, egli trattiene fior di quattrini. Ma questi dovranno essere restituiti (con una piccola maggiorazione), solo se si viene pizzicati. Il punto è che dati i limiti fisici delle forze in campo (non più di 200mila controlli annui possibili a fronte di 5milioni di autonomi) le probabilità che una partita Iva ha di venire intercettata dal Fisco con una verifica interna della contabilità, è pari a non più del 5 per cento.

Ecco perché questo meccanismo porterà a un crollo progressivo, ma inevitabile dello stock di tasse dichiarate. Tutto questo è già storia. All’indomani della prima versione 2008 di  questo meccanismo,  infatti, i volumi complessivi di gettito non sono rimasti insensibili alla corposa scorciatoia “pro-evasori” varata da quell’anno in poi. I numeri parlano da soli. Dopo il 2008, infatti, i cosiddetti “recuperi da evasione” hanno sì subito un forte balzo all’insù (guadagnando +6,2 miliardi annui nel giro di cinque esercizi:  dal 2008 (6,9 miliardi) al 2013 (13,1). Per converso, tuttavia, il gettito da entrate spontanee – guardacaso – negli stessi anni ha registrato un crollo pari a -27 miliardi su base annua, passando dai 410 miliardi (nel 2008) ai 383 (nel 2013). Sarà sufficiente la congiuntura economica negativa a giustificare, da sola, il crollo vertiginoso delle entrate,  nonostante gli introiti aggiuntivi frattanto assicurati dalle numerose nuove tasse e dagli aumenti di aliquota a carico dei soliti noti? I dati sul crollo del gettito sono ufficiali. Sono riportati a pagina 11 e 12 del documento a firma dell’ex direttore dell’Agenzia delle Entrate, Attilio Befera (come FIGURA 4 e FIGURA 5, riportate a fine di questo paragrafo), in sede di audizione in Senato, il 2 aprile 2014, presso la 6^ Commissione Finanze e Tesoro. Il disegno di legge di stabilità 2015, dunque, anziché mettere una toppa alla falla gravissima di cui si diceva, ha pensato bene di allargarla completamente, togliendone ogni limite. E rendendo  così strutturale e a regime quella insensatezza (per usare un eufemismo) che fino a  oggi è in qualche modo circoscritta a un numero chiuso (benché assai ampio) di casi. Il risultato certo del nuovo meccanismo in arrivo, pertanto, sarà, per un verso, una forte impennata ulteriore del bottino anti-evasione. Che l’Agenzia delle Entrate potrà ascrivere a proprio merito (recuperi da evasione che, tuttavia, oggi quotano intorno al 2% rispetto al gettito complessivo). Per altro verso, invece, il nuovo sistema di sicuro porterà progressivamente a un crollo rilevante delle future entrate da autotassazione (quelle che oggi quotano per il residuo 98%).

TABELLA 2

TABELLA 1

SQUADRATURE IN ELENCO CLIENTI: UN BUCO NELL’ACQUA IN ARRIVO

E finiamo questa breve rassegna con una misura di nicchia, fra quelle presenti nel ddl di stabilità. Ovvero quella che prevede l’invio di lettere-sollecito (anziché un accertamento automatizzato, cd 41-bis) indirizzate a chi dal raffronto fra l’elenco clienti e l’elenco fornitori (oggi, spesometro) risulterà aver conteggiato a debito, meno Iva di quanto, viceversa, la propria controparte commerciale gli ha imputato nelle vesti di fornitore da cui egli avrebbe acquistato con diritto di riporto a credito. Il Governo prevede di incassare a regime, da questa misura, 928 milioni di euro dal 2016, ridotti a 720 nel primo anno di vigenza, il 2015. Questa entrata sarebbe garantita – così racconta la Relazione tecnica al ddl – poiché secondo l’aspettativa del Fisco chi sarà raggiunto dal sollecito si precipiterà a pagare la differenza poiché si sentirà in qualche modo messo con le spalle al muro. In teoria, effettivamente, il ragionamento fila. Se però ci spostiamo dalla teoria alla pratica, e facciamo tesoro di quanto ha dimostrato uno  studio recente della Corte dei conti, allora ci accorgiamo che le cose stanno assai diversamente (si veda la deliberazione 8/2013/G del 31 ottobre 2013).

In quel caso, infatti, i giudici contabili hanno monitorato il comportamento di tutti coloro che furono raggiunti da un atto di accertamento basato su analoga squadratura, all’epoca riferita agli anni d’imposta 2006 e 2007 (gli unici in cui fu in vigore l’obbligo di compilare l’elenco clienti).   E lo studio svela, a sorpresa, che quasi tutti gli accertamenti all’epoca furono addirittura ignorati dai rispettivi destinatari, per un importo pari al 90% di quanto addebitato (si veda qui un approfondimento dettagliatissimo, con particolare riferimento ai dati sintetizzati nelle TABELLE 5, 6 e 7). Significa che nel 90% dei casi il destinatario dell’addebito né ha mai pagato alcunché, nè si è presa la briga di impugnare l’accertamento. Questi atti, pertanto – come rilevato dalla stessa Corte – saranno andati ad alimentare la zavorra dello stock di quote inesigibili presso Equitalia. Se, dunque, questi sono i numeri “veri”, allora significa che tal genere di squadrature hanno sottotraccia un tipo di contribuente diverso dalla classica partita Iva. Un soggetto, dunque, tutt’altro che ansioso di tirar fuori i quattrini per mettersi a posto verso il Fisco. Viceversa, trattasi probabilmente di delinquenti fiscali che programmano la classica “evasione da riscossione”, nascondendosi dietro il paravento di società-schermo. Costoro, quindi, a parità di contenuto, se sono stati capaci nel 90% dei casi di ignorare un atto di accertamento debitamente notificato, a maggior ragione rimarranno indifferenti a una semplice lettera di sollecito – contrariamente a quanto postulato nell’articolo 44, commi da 11 a 18 del ddl di stabilità, che, nella Relazione Tecnica al ddl, pronostica, a regime, quasi un miliardo di maggiori entrate.



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