Da quando il 29 giugno del 2014 il leader di Isis, Abu Bakr al Baghdadi (qui il ritratto) ha dichiarato di aver costituito un Califfato islamico tra il nord-est della Siria e l’Irak occidentale, le tensioni in Medio Oriente sono aumentate. Dinamiche d’instabilità che non rispondono solo logiche terroristiche, ma anche a vecchi rancori fra sunniti e sciiti. In più, la politica settaria del governo dell’ex premier irakeno, Nouri al Maliki, ha escluso da ogni forma di potere la componente sunnita del nuovo stato irakeno.
Secondo il rapporto “Avanzata dell’Isis nel teatro medio-orientale e ripercussioni sull’Europa e sull’Italia”, presentato oggi a Roma al Centro Alti Studi per la Difesa (Casd) e curato dalla Fondazione Icsa, l’avanzata di Isis in Medio Oriente ha destabilizzato ancora di più una vasta area in cui insistono rilevanti interessi nazionali ed europei, con pesanti ripercussioni sull’economia e sugli investimenti delle imprese italiane all’estero.
CAMBIO DI NOMI
Prima al-Qaeda in Irak, poi Stato Islamico dell’Irak, successivamente Stato Islamico dell’Irak e della grande Siria e oggi semplicemente Stato Islamico. Ha cambiato nome molte volte l’organizzazione terroristica che oggi preoccupa la regione. Lo studio spiega come in pochi anni (dal 2006) Isis abbia creato “una nuova entità territoriale, alleandosi con le tribù sunnite ed i gruppi del vecchio partito baath vicini a Saddam Hussein, sfruttando il loro desiderio di rivincita dal momento che prima disponevano di Forze Armate e strutture di sicurezza, peraltro ridimensionate dalla presenza delle unità militari occidentali”.
CONSENSO POPOLARE
Tra le ragioni dell’avanzata di Isis c’è la carenza di analisi del quadro siriano-irakeno e la conseguente sottovalutazione della forza delle milizie islamiste e della resistenza dell’esercito irakeno. “L’autoproclamato Califfato, per la prima volta, si pone come una forza jihadista in grado di coniugare le dispotiche modalità di un governo autoritario del territorio con una straordinaria capacità di ottenere il consenso della popolazione”, spiega il rapporto. Consenso che si esprime nelle forme tradizionali del rapporto con i capi tribù sunniti, ma anche con l’accettazione da parte della popolazione. L’accettazione si basa sull’applicazione rigida della più tradizionale e millenaria legge islamica (sharia) nella versione hanbalita.
NUOVE ALLEANZE GEOPOLITICHE
Di fronte alla minaccia di Isis sono nate nuove alleanze geopolitiche. Inaspettatamente, l’Iran e gli Usa hanno provato a collaborare per contrastare il pericolo, così come l’Arabia Saudita, nemico dell’Iran, ne è diventato tacito alleato. Secondo il rapporto, “analogamente può dirsi per la Turchia che si vede ‘costretta’ a confrontarsi con i curdi che hanno salvato col loro intervento migliaia di yazidi minacciati dal genocidio”. Si tratta di alleanze insolite dal futuro e natura incerti.
LO SCENARIO LIBICO
Inevitabile fare riferimento, quando si parla di Isis, a quanto accade in Libia. Il Paese ha subito un progressivo deterioramento della sicurezza, sempre dovuto ad antichi scontri tribali, nonché dal progressivo incremento della minaccia proveniente da gruppi di ispirazione salafita e jihadista. Per lo studio, “il perdurare di una situazione di rilevante precarietà sul piano della sicurezza offre maggiori possibilità di azione anche alle organizzazioni criminali locali, tra cui quelle che gestiscono il flusso di migranti dalla Libia verso l’Italia e quelle che operano i sequestri di cittadini occidentali”. La crisi libica ha innalzato pericolosamente i coefficienti di rischio per l’intero sistema produttivo e imprenditoriale italiano.
UNA PROCURA NAZIONALE ANTITERRORISMO?
Lo studio ha rilevato l’adeguatezza delle attuali strutture giudiziarie per far fronte alle nuove sfide terroristiche nazionali ed internazionali. “Più idonea ad affrontare tali sfide sembrerebbe una struttura che potremo chiamare Procura Nazionale Antiterrorismo (Pna) – prosegue il rapporto – a cui attribuire la competenza a svolgere tutte le indagini per reati di terrorismo ed eversione, in seno alla quale strutturare una banca dati nazionale ed internazionale della materia”. Tale Procura Nazionale, contrariamente alla Direzione Nazionale Antimafia, non dovrebbe avere solo poteri di coordinamento, ma poteri di indagine diretta e di direzione rispetto alle Procure distrettuali.