Pubblichiamo grazie all’autorizzazione del gruppo Class Editori e dell’autore, l’articolo di Tino Oldani uscito sul quotidiano Italia Oggi diretto da Pierluigi Magnaschi.
Ieri il Parlamento europeo ha votato il break-up di Google, per separare il motore di ricerca dai servizi commerciali. In pratica, come spiegano gli euro-deputati promotori della mozione, si tratta di una risposta europea (in realtà tedesca) non tanto a Google, considerata un’ottima azienda, ma a ciò che essa rappresenta, vale a dire al dominio degli Stati Uniti nell’industria che ruota intorno a internet. Un settore strategico del futuro, nel quale la Germania vuole competere con gli Usa, possibilmente ad armi pari.
Non è dunque un caso che uno dei due promotori della mozione anti-Google sia un euro-deputato tedesco, Andreas Schwab, che non solo è dello stesso partito della Merkel (Cdu), ma è anche un esperto giurista europeo. Alla sua firma, in calce alla mozione, si è unita quella di Ramon Tremosa, liberale spagnolo. Entrambi hanno fatto sapere che, oltre al Ppe e al liberali, anche il partito socialista europeo voterà a favore della loro mozione. Cosa che è stata confermata da Giovanni Pittella (Pd), vicepresidente del Parlamento europeo, in un’intervista a Repubblica.
Il Parlamento europeo, è bene precisarlo, non ha il potere di smembrare un’azienda. Può soltanto dare dei suggerimenti alla Commissione Ue, che detiene il potere legislativo europeo ed è l’unica che può intervenire su un colosso come Google, come già fece in passato con Microsoft. Ecco perché, come ha spiegato Schwab al sito euractiv.com, la mozione costituisce una forma di pressione sul nuovo commissario Ue alla Concorrenza, Margrethe Vestager, socialista danese, affinché assuma «una linea più dura del suo predecessore per risolvere i contenziosi europei sollevati da Google».
Per la cronaca, il precedente commissario alla Concorrenza era lo spagnolo Joaquin Almunia, che dopo quattro anni di indagini su Google non era approdato a nulla, lasciando piuttosto delusi i concorrenti che avevano accusato Google di vari abusi di posizione dominante, segnatamente di promuovere il proprio business a spese dei concorrenti, e di violare le normative europee e nazionali in materia di tasse e di privacy. Guarda caso, tra le aziende europee che avevano sporto denuncia all’antitrust Ue, c’era anche il gruppo editoriale tedesco Alex Springer, che in Germania ha sempre avuto un certo peso politico.
Per completare il quadro della sfida lanciata dalla Merkel all’industria Usa che ruota su internet, giova ricordare che la mozione del Parlamento europeo si aggiunge a un’altra iniziativa anti-Google di marca tedesca: tra i suoi primi atti come nuovo commissario Ue per l’economia digitale, infatti, il tedesco Gunther Oettinger, vicino alla cancelliera, si è impegnato ad assoggettare Google a norme simili a quelle vigenti in Germania sulla proprietà intellettuale e artistica, che impongono un compenso economico per l’utilizzo in rete, a scopo di profitto, dei testi e dei prodotti artistici, tuttora saccheggiati gratis.
Entrambe le iniziative, soprattutto l’ipotesi del break-up, sono state accolte da Google con grande fastidio. Secondo il Financial Times, che settimana scorsa ha dato per primo la notizia della mozione, «a Mountain View, sede di Google, sono furiosi per la natura politica della mozione, di cui sono venuti a conoscenza solo due giorni fa». Separare il motore di ricerca dai servizi commerciali rischia di infliggere un colpo tremendo al business dell’azienda (57 miliardi di dollari di fatturato). Non è infatti un mistero che, grazie ai potenti algoritmi del motore di ricerca, la capogruppo può girare alla sua controllata che raccoglie la pubblicità (AdWords) informazioni preziose sulla clientela potenziale, con metodi che secondo i concorrenti violerebbero la privacy.
Finora Google l’ha sempre fatta franca. Alcuni anni fa, ricorda Federico Rampini nel suo ultimo libro («Rete padrona»; Feltrinelli), le auto con telecamera di Google non si limitavano a filmare le strade e le piazze delle città per aggiornare le mappe satellitari con immagini reali, ma «spiavano anche noi, intercettando i segnali wi-fi di casa nostra si impadronivano di password, email, perfino conti bancari e informazioni mediche. Spionaggio sfacciato, violazione della privacy, con milioni di vittime ignare». Quando fu scoperta, all’inizio Google negò tutto. Ma poi, denunciata da 38 Stati Usa, scaricò le colpe su un solo dipendente, e patteggiò una condanna lieve: appena 7 milioni di dollari di multa. Ma ora, con la Merkel come avversaria, sta rischiando molto, ma molto di più, anche perché la cancelliera non ha mai dimenticato un affronto per lei imperdonabile: essere stata spiata dalla National security agency degli Usa, con cui Google era collusa.