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Tutti i tafazzismi d’Italia

Chi ha la bontà di bontà di leggere queste righe, vorrà perdonerà la personalissima abitudine di voler utilizzare il termine Tafazzi per qualificare una delle principali caratteristiche degli abitanti dell’italica penisola. Per chi non lo conoscesse, Tafazzi è un comico personaggio di nero vestito con il vizio masochistico di auto infliggersi gli attributi con i colpi di una bottiglia di plastica.

Una parte più o meno accentuata di Tafazzi vive in ogni italiano, indipendentemente dalla classe sociale, dal livello culturale, dalla sensibilità e appartenenza politica. E’ il nostro aspetto caratteriale che si manifesta in modo eclatante spesso associato a un’altra particolarità legata al buonismo, ovvero a quell’atteggiamento che d’impulso ci porta sì a solidarizzare con i più disagiati o miserevoli individui, ma fino a giustificarne anche i comportamenti che a volte – sempre più frequentemente – sfociano in vere e proprie azioni illecite o addirittura illegali.

Capita nel Paese dei Tafazzi che un signore sia ricoverato in ospedale e al suo rientro si ritrovi la casa occupata da una famiglia di nomadi. Capita che dei disperati Italiani senza lavoro e senza casa occupino alloggi pubblici che altri disgraziati attendono vengano loro assegnati perché regolarmente in lista d’attesa. Aspetti tristi e compassionevoli della vita? Sì, certamente. Ma come non scoprire il Tafazzi nelle parole di molti intellettuali e politici che solidarizzano con una tale follia? Difficile.

E che dire del Tafazzi che sul principio della solidarietà tra i popoli abbinato a un buonismo deleterio ha sostenuto l’operazione Mare Nostrum oltre ogni limite che il buon senso e l’evidenza dei fatti avrebbero imposto di non oltrepassare? E’ lo stesso Tafazzi che non si accorge che sulle tragedie e disgrazie dei miseri, alcuni uomini senza scrupoli lucrano affari d’oro organizzando barconi di disperati vittime di una falsa speranza e con il telefono satellitare avvisano la Marina Italiana per i soccorsi non appena si trovano in acque internazionali.

E il Tafazzi poi si irrita quando quei migranti se li ritrova ai parchi pubblici, ad elemosinare agli incroci o nelle stazioni ferroviarie della sua città. Sono gli stessi Tafazzi che poi si indignano quando un altro Paese, realista e pragmatico come la Gran Bretagna, per voce del suo governo, dice chiaramente che non intende sostenere operazioni che di fatto si sono rivelate come una incentivazione al suicidio.

C’è poi il Roberspierre giornalista conduttore televisivo (tempo fa da alcuni indicato addirittura come candidato alla Presidenza della Repubblica) che una domenica sera “scopre” lo sfruttamento degli animali e la delocalizzazione della produzione di una nota azienda d’abbigliamento. Le immagine trasmesse sono forti, toccano la sensibilità dello spettatore e la reazione – scontata – è un’ondata di avversione per il noto marchio, peraltro recentemente quotato in Borsa e inevitabile è poi il crollo del valore di listino.

Succede che vengano fatti i conti in tasca all’azienda con toni che puntano il dito sulle le politiche di prezzo applicate ai prodotti, quasi che la stessa non sia libera di deciderle e, soprattutto, i consumatori liberi di acquistarli o meno. Libertà di stampa e di svolgere ogni tipo di inchiesta? Certamente, ma un taglio meno da Tafazzi sarebbe stato quantomeno auspicabile.

Tant’è che la nota Azienda, attrice di primo piano in quel mondo ancora fortunatamente sorretto da un supermarchio, un ombrello comune che tanto aiuta il sistema economico italiano, dapprima risponde con un comunicato e poi inevitabilmente querela giornalista e trasmissione. C’è da capire chi pagherà le spese e i danni eventuali: trattandosi di televisione pubblica, qualche sospetto che paghi Pantalone assale la mente.

Ora, potremmo affrontare il Tafazzi del panorama politico italiano, dove gli esempi e la casistica sono vasti, ma è un’altra storia. Ci ritorneremo.


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