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Il Corriere della Sera sballotta Renzi

Prima la scudisciata del direttore, poi le ramanzine dei cronisti e ora la sberla di un altro editorialista. Il Corriere della Sera è diventato anti renziano?, si bisbiglia da tempo a Palazzo Chigi e dintorni dal giorno in cui il direttore Ferruccio de Bortoli, per lanciare la riforma grafica del quotidiano Rcs, ha voluto rottamare il premier Matteo Renzi con un editoriale urticante che ancora fa male ai renziani.

E non è stato un caso isolato. Infatti dopo sono arrivati commenti e analisi specie sulla politica economica non proprio accomodanti, rispetto a una impostazione più benevola da parte del quotidiano la Repubblica.

Le scudisciate al premier oggi raggiungono un altro apice con un commento dell’ex direttore del Riformista ed ex parlamentare della Margherita, Antonio Polito, che riproponiamo per larghi brani:

Così la prima campagna d’Europa per la «flessibilità» si è per ora conclusa con uno sconticino dello 0,2% all’Italia (la Francia se l’è cavata meglio) e un giudizio ancora sospeso per i nostri conti.
Sarebbe dunque opportuno che ora Renzi riconsideri la utilità di quella polemica anche alla luce della rispostaccia ricevuta da Juncker. Il fatto stesso che il presidente della Commissione europea abbia avuto l’ardire di bacchettare in pubblico il premier di un grande Paese la dice infatti lunga su quanto siano cambiate le cose a Bruxelles.

Juncker non accetta la definizione di «burocrate» per molte ragioni, la prima delle quali è che la sua legittimazione democratica è ormai pari, se non addirittura superiore, a quella di Renzi. Si sa che il nostro premier non è mai stato eletto; ma se lui può vantare l’investitura indiretta delle europee allora anche Juncker può farlo, e per la prima volta nella storia della Commissione, essendo stato il candidato del Partito popolare, vincitore del voto su scala continentale. Proprio attaccando Renzi, con la non irrilevante complicità di Manfred Weber, capogruppo europeo dei Popolari e intimo della signora Merkel, Juncker ha dimostrato che intende far valere fino in fondo questa sua «novità» rispetto agli sbiaditi predecessori: il giochetto di dare la colpa a Bruxelles, da sempre e da tutti praticato, non sarà più tanto facile d’ora in poi.

Inoltre la nuova Commissione non è composta da funzionari, ma da politici di primo piano nei loro Paesi: Katainen è un ex primo ministro, Moscovici un ex ministro dell’Economia, e spetterà proprio a loro vigilare sui nostri conti: difficilmente soffriranno di complessi di inferiorità.

Infine Renzi, snobbando il peso politico della Commissione, rischia di svalutare anche il ruolo che vi dovrebbe svolgere la vicepresidente Mogherini, per la quale si è invece tanto battuto: se è vero che da quella poltrona si può influire sulle materie economiche, per noi vitali, è il giunto il momento di dimostrarlo. Rischia altrimenti di diventare un po’ schizofrenico un governo in cui proprio ieri il sottosegretario Gozi, egli stesso un ex burocrate di Bruxelles, vantava di aver portato 20 italiani nei gabinetti di Bruxelles contro i 14 della precedente Commissione: non è che i burocrati nostri sono buoni e quelli degli altri no.
Trattare la Commissione europea come in patria si tratta la Cgil, cioè a sberle, può essere pericoloso. La tattica di alzare la voce con l’avversario di turno per dimostrare di aver vinto porta consensi nei sondaggi, ma mentre la Camusso non può aprire una procedura d’infrazione contro l’Italia, Juncker questo potere legale ce l’ha, glielo danno i Trattati, e non dipende per la sua popolarità dai sondaggi italiani, magari più dai sondaggi degli anti-italiani.

L’impressione è che l’Europa stia prendendo le misure a Renzi. Nessuno gli è contro perché tutti sanno che il dopo potrebbe essere peggio; ma nessuno è disposto a credergli sulla parola. L’Italia è l’unico Paese dell’Ocse in recessione e in deflazione, le sue prospettive continuano a essere fosche anche nel 2015; e a Bruxelles si è capito che la delega sul mercato del lavoro è ancora un oggetto misterioso, tranne che per gli effetti che sta provocando sulla pace sociale.

C’è dunque molto lavoro da fare, prima di prendersela con gli altri. Sarebbe del resto un insuccesso italiano se di questo semestre di presidenza della Ue, ormai quasi agli sgoccioli, non restasse altro che una scazzottata e qualche colpo basso. Non converrebbe di certo all’Italia, vaso di coccio in Europa per il suo immane, e crescente, debito pubblico. Il primo ministro dell’Italia non deve mai andare a Bruxelles con il «cappello in mano»; ma neanche può prendere cappello ogni volta che è in difficoltà.



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