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Il mattone spinge la Danimarca nell’Unione bancaria

Non era poi difficile immaginare che Eurolandia avrebbe finito con l’allargarsi per via bancaria. In un mondo dove la moneta bancaria è quella che conta veramente, la denominazione dell’unità di conto rimane un dettaglio. Importante, ma sempre un dettaglio.

Questa riflessione, che a molti parrà esorbitante, quando non addirittura incompetente, me l’ha ispirata la lettura dell’ultimo intervento di Lars Rohde, governatore della banca centrale della Danimarca (The Danish economy against the background of global economic developments), paese che, come tutti sanno, aderisce all’Unione Europea, ma non all’euro. Per cui è rimasto fuori dalla diatriba sulla moneta unica di questi ultimi anni, ma non dalla tempesta finanziaria ed economica che tale diatriba ha scatenato e che ancora non si placa.

Ricorderete che il progetto di Unione Bancaria, ormai pienamente operativo dopo la pubblicazione degli stress test e l’inizio novembrino della supervisione unificata della Bce sulle principali banche dell’eurozona, prevedeva fra le altre cose che i paesi esterni all’euro avessero la possibilità di rimanere fuori dalla moneta unica, mentre sarebbe stati i benvenuti qualora avessero deciso, dopo l’avvio della supervisione, di aderire al progetto di Unione bancaria. Che in pratica significa innanzitutto mettersi sotto le amorevoli ali protettive della Bce, nel suo ruolo di supervisore. Ma poi, e soprattutto, di entrare anche nei costituendi meccanismi di risoluzione, con fondo annesso, e di assicurazione unificata dei depositi.

In questa lunga e travagliata storia, la Danimarca ha assunto il ruolo di osservatore. Ma ciò non vuol dire che sia rimasta neutrale. Quando la Bce, sin dal giugno scorso, ha portato il tasso sui depositi in territorio negativo, la banca centrale danese ha fatto lo stesso abbassando i tassi sui certificati di deposito, che poi determinano i tassi sul mercato monetario, a -0,05%. Ciò ha inserito la Danimarca nel novero dei paesi europei che hanno intenzione di tenere i tassi assai bassi che i mercati, dice il nostro banchiere, “non si aspettanno verranno alzati prima del 2017″, con la conseguenza che l’euro da inizio anno ha perso circa il 10% sul dollaro e non accenna a riprendersi, per la gioia degli esportatori.

Questa situazione monetaria sta in qualche modo facilitando l’economia danese che, ancora immersa in un ondeggiante chiaroscuro, vede un aumento dell’occupazione fare da contraltare a una situazione della crescita ancora altalenante che però, secondo la banca centrale, è il prologo di una ripresa più robusta, col governo che esibisce un deficit fiscale entro la soglia del 3% e un deficit strutturale dello 0,5%, nei limiti quindi delle regole europee. La qualcosa porta con sé la fastidiosa controindicazione – in quanto i numeri sono al limite del consentito – di non aver spazi fiscali di manovra qualora il clima economico torni a volgere al brutto.

E il brutto, in Danimarca, è annidato innanzitutto nel mercato immobiliare, vuoi per le sue ricadute sull’economia reale, vuoi per quelle che può determinare sulla stabilità finanziaria.

Ciò in quanto il sistema finanziario danese esibisce una sua specificità, peraltro assai comune. Vale a dire l’esistenza di entità finanziarie espressamente dedicate all’emissioni di bond basati sui mutui, in qualche modo alternative alle banche commerciali. “E’ essenziale – spiega Rohde – che si preservi la fiducia nel sistema danese di credito per i mutui”, visto che “i bond basati sui mutui sono uno strumento molto importante nella gestione della liquidità bancaria”. Tanto più in un mercato che ha visto i corsi immobiliari diminuire notevolmente negli anni brutti della crisi e dove le famiglie sono pesantemente indebitate.

Di recente i prezzi degli immobili sono risaliti, ma in maniera diseguale e con differenze regionali considerevoli e tali discrasie, spiega il banchiere, “non possono certo essere risolte dal sistema del credito basato sui mutui”. Il quale, peraltro, ha avuto diversi problemi di reputazione negli ultimi anni. “Le agenzie di rating – osserva ancora – hanno cambiato opinione sul sistema danese dei mutui e se c’è un accordo generale su fatto che il rating di credito meriti una A, la questione è quante A debba avere”. Che è un modo elegante per dire che il sistema è sicuro, ma non si sa bene quanto.

Nel dubbio, il governo e la banca centrale hanno agito per via regolatoria per provare a scoraggiare le assunzioni eccessive di rischio, con la conseguenza però che sono sorti interrogativi se le norme elaborate per rendere più solide le banche che finanziano i loro mutui emettendo obbligazioni non abbiano finito col creare una malsana competizione con le banche ordinarie, pure se, come ammette Rohde “le banche e le banche che lavorano solo con i mutui hanno modelli di business separati”.

Il problema è sorto dal 2008 in poi, quando i regolatori hanno notato che i consumatori si rivolgevano sempre più alle banche di mutuo, chiamiamole così, per avere prestiti, piuttosto che alle banche ordinarie. Usavano, vale a dire, la garanzia rappresentata dal mattone come collaterale per avere liquidità. La controindicazione che tale pratica porta con sé è però che “il sistema del credito basato sui mutui è vulnerabile se i prezzi delle case cadono”.

Insomma: anche la Danimarca è appesa al rischio del calo dei corsi immobiliari. Ed è facile capire perché: i bond emessi sui mutui sono basati su un certo valore del collaterale. Se tale valore cala, i bond ne risentono direttamente e le banche che devono emetterne sempre di nuovi per finanziare a breve i loro investimenti a lungo, di conseguenza.

Perciò, osserva il banchiere “è essenziale che tale sistema sia disegnato in modo da poter reggere anche quando i prezzi delle case cadono”. Tanto più ricordando che i prezzi delle case sono estremamente sensibili agli aumenti del tassi che, prima o poi, arriveranno. “Se i tassi rimangono al livello attuale – dice – per un periodo molto lungo, i prezzi possono salire sostanzialmente, ma se gli interessi vanno su, i prezzi delle case possono cadere sostanzialmente”. E un calo dei prezzi delle case in un’economia basata sul debito privato, come quella danese, e dove lo stato non ha spazi fiscali, può diventare rapidamente un incubo.

Ed è qui che entra in scena l’unione bancaria. La risposta danese ai rischi per la stabilità finanziria insiti nel mercato del credito immobiliare è necessariamente legata alla costruzione di meccanismi regolamentari ancora più stringenti. E in tal senso l’ingresso nell’Unione bancaria potrebbe consentire alla Danimarca di raggiungere il suo scopo semplicemente appoggiandosi all’universo Bce.

Dice infatti Rohde: “Non ho dubbi: la Danimarca, i possessori di casa danesi e il sistema danese di credito immobiliare hanno un grande interesse acché a Danimarca partecipi all’Unione bancaria. Un buon modo per assicurare il futuro del sistema danese del credito immobiliare è la partecipazione al meccanismo unificato di supervisione. Fuori dall’Unione bancaria può succedere di tutto”. Dentro, quindi, sembra di capire, si sta al riparo.

L’argomento di Rohde suonerà familiare a molti di noi. Meglio dentro che fuori, nei meccanismi sovranazionali, perché, come osserva il banchiere “l’unione non terrà certamente conto dei desideri di un piccolo paese del Nord”.

Ovviamente, prerequisito di tale ingresso è che la supervisione accolga amorevolmente fra le sue braccia anche il settore del credito immobiliare danese, che è quello che fa patire di più i regolatori nazionali. E questo dal punto di vista di Rohde non è per nulla problematico.

E poi c’è il vantaggio che l’unione bancaria rafforza il mercato unico dei servizi finanziari e sarebbe una iattura per la Danimarca, osserva ancora, perdere quest’occasione.

Ciò spiega perché il nostro banchiere sia convinto che “la partecipazione all’Unione bancaria serve all’interesse dei danesi”.

Bisognerà vedere se i politici concorderanno. Ma intanto è divertente notare come cambino i tempi, ma non gli argomenti.

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