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Il suicidio (immobiliare) dei creditori

Il vento furioso della crisi, consumandolo, ha levigato talmente il mattone che oggi è un perfetto specchio dei tempi, dove i nostri squilibri globali si rappresentano con l’ingannevole precisione delle immagini riflesse, dove la realtà è esattamente l’opposto di ciò che si vede.

Così oggi, sei anni dopo, vediamo su questo specchio un mercato erratico e schizofrenico, dove i prezzi salgono nei principali paesi creditori – Germania in testa – e scendono in quelli debitori, replicando nei corsi immobiliari l’impossibile conciliazione fra i debiti e i crediti mondiali.

Sicché il mercato immobiliare, non pago d’esser stato il veicolo del meltdown finanziario del 2008, oggi ci racconta di un mondo dove i paesi creditori sembrano essersi rassegnati ad impiccarsi al mattone, gonfiando allo sfinimento un mercato vieppiù insostenibile. Più cumulano surplus, questi paesi, più il mattone s’impenna minacciando di asfissiare le loro ricche economie a causa del loro stesso peso. Una sorta di suicidio assistito.

A tale consuetudine sfuggono gli Usa, dove i prezzi sebbene in ripresa sono ancora sotto il livello pre crisi, e il Giappone, che malgrado sia attivamente iscritto fra creditori globali deve ancora digerire il boom di fine anni ’80, dopo il quale il prezzo degli immobili non si è più ripreso. E poi ci sono gli emergenti, la Grande Incognita, fra i quali spicca il Brasile dove i prezzi salgono e i debiti pure.

Dobbiamo esser grati perciò al Fmi che nel World economic outlook di ottobre ha censito lo stato globale di questo settore, così delicato eppure strategico per la ripresa internazionale, analizzando un gruppo di 50 paesi, sulla base del quale è stato composto il global house price index, che fotografa una situazione dicotomica e vagamente inquietante. Da una parte ci sono 33 paesi dove il mattone non ha ancora recuperato, e anzi fatica a riprendersi. Dall’altra ce ne sono altri 17 dove invece c’è stato un rimbalzo che in alcuni casi ha superato anche il livello di attività pre crisi, accendendo quindi ulteriori preoccupazioni.

Prima che ve lo chiedate, vi dico subito che fra i paesi in forte ripresa dei prezzi troviamo l’Australia, l’Austria, Brasile, Canada, Cina, Germania, Hong Kong, Lussemburgo, Svezia, Norvegia e Svizzera. Fra quelli ancora in correzione Belgio, Danimarca, Italia, Francia, Spagna, Finlandia, Irlanda, Giappone, Stati Uniti e Uk. E poi ci sono i paesi come l’Olanda, dove di recente il fenomeno dei subprime ha assunto una connotazione esemplare.

Per capire dove siamo, si può cominciare guardando all’indice aggregato per i 50 paesi, e poi scomporlo. Uscirà fuori la visione di un mercato immobiliare dove “la ripresa è stata anemica rispetto a quello di altri asset finanziari, come quello azionario” e soprattutto profondamente lacerato: spaccato a metà.

In questo disequilibrio si individuano rischi sia per i mercati dove i prezzi sono ancora bassi, e minacciano di scendere ancora, sia in quelli dove sono alti a livello ormai non pià ritenuto sostenibile. Fra questi primeggia la Cina. Ma noi lo sapevamo già.

L’indice aggregato mostra che la correzione globale è stata tutto sommato modesta. Fatto 105 il livello pre crisi, oggi l’indice si colloca poco sotto 100, dove galleggia piatto ormai dal 2009. Segnalo però che tale indicatore quotava 70 fino al 2002 e 60 nel 1991. Ciò significa che negli anni novanta i prezzi globale sono cresciuti di circa il 15% a fronte del 30% dei primi anni Duemila. E significa pure che l’aumento dei prezzi nei 17 paesi ha compensato quasi integralmente il calo nei 33.

Quindi il boom immobiliare è ancora ben lungi dall’essersi sgonfiato. Le politiche dei governi e delle banche centrali, da questo punto di vista, sono servite allo scopo. Il crash immobiliare globale è stato evitato, ma i prezzi sono ancora ben lontani dall’essersi equilibrati. E questo, in un contesto di redditi stagnanti, per non dire in regressione, solleva un interrogativo inquietante circa la capacità dei prezzi di rimanere fermi al livello attuale.

Se andiamo ad analizzare il dato scomposto, scopriamo che nel gruppo dei 33, ossia i paesi ancora in affanno, i prezzi sono in media il 20% più bassi rispetto al 2008, mentre nel gruppo di 17 i prezzi sono il 25% più alti, sempre in media. E si sa che il sottopeso, come il sovrappeso, non sono buoni viatici per la salute.

Se guardiamo al valore aggiunto del settore delle costruzioni residenziali, scopriamo che nei paesi in rimbalzo, fatto 100 il 2008, l’indice quota quasi 115, mentre i 33 stanno sotto 80. Andamento simile all’indice degli investimenti residenziali, che quota 120 nei paesi in rimbalzo e 80 in quelli ancora depressi. Inutile sottolineare che i paesi con i prezzi in calo sono all’incirca gli stessi dove sono diminuiti gli altri due indici che abbiamo visto, e altrettanto vale per quelli con i prezzi in forte crescita.

Osservo che l’eurozona e l’Europa replica perfettamente al suo interno la spaccatura dell’immobiliare globale, e mi convinco una volta di più che tutto il mondo è paese.

Ma soprattutto leggo delle notevoli preoccupazione che il Fmi nutre per l’immobiliare cinese dove, scrive, “la sfida è arrivare alla necessaria correzione evitando eccessivi ribassi”. Il che è perfettamente comprensibile, vista l’importanza che l’immobiliare riveste per il sistema finanziario cinese, ombra e non ombra. Ma soprattutto che “le preoccupazioni sulla sostenibilità sono più grandi nei paesi dove i prezzi sono rimbalzati, in particolare per le economie emergenti”. Ma non solo. Il Fmi nota una modesta sopravvalutazione in Canada e Israele, e una decisa sopravvalutazione in Norvegia e Svezia.

I vari paesi in eccesso di prezzo hanno applicato vari tool macroprudenziali per frenare l’ascesa del credito, che alimenta i prezzi. Ma l’efficacia di questi strumenti è limitata quando succede, come succede ad esempio in Germania ma anche a Londra, che i prezzi siano pompati dall’afflusso di investimenti dall’estero di gente ricca che vuole comprare casa fuori dai confini. E poiché molti di questi investimenti arrivano dai paesi in crisi, che saranno pure in crisi ma ospitano comunque tanti milionari, si arriva al fenomenale paradosso per il quale i paesi creditori vengono “suicidati” dai benestanti (quindi creditori a loro volta) dei paesi debitori.

Tale processo ha subito un’accelerazione col ristagnare dell’economia e l’abbassarsi dei rendimenti finanziari, che ha innalzato la propensione ad investire sul mattone, specie quello che si reputa più remunerativo, e ciò ha messo ulteriormente sotto pressione i prezzi dei paesi più rassicuranti che, di conseguenza, sono diventati oggi inquietanti.

Ma finora si continua a ballare sul Titanic.

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