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Lavoro: il paradosso della disoccupazione e dello skill gap

Mentre si discute di Jobs Act, i ragazzi italiani che cercano lavoro e aspirano – giustamente – a un ruolo nel mondo professionale, dovrebbero partire da una fondamentale domanda: quali lavori sono richiesti dal mercato? Non verrà mai sottolineato abbastanza che l’hitech ha fame di specialisti e il sistema-Paese non può che giovarsi di specialisti hitech.

Dal recente convegno Making a career with Digital Technologies, evento conclusivo della campagna europea eSkills for Jobs 2014, è emerso che in Italia lo sviluppo dei talenti imprenditoriali non è andato di pari passo con la crescita delle competenze tecnologiche necessarie per la migliore competitività delle imprese italiane. Secondo un report di Empirica, sono oltre 20mila i posti di lavoro vacanti per figure con alte competenze tecnologiche e si potrebbe arrivare ad 84mila nel 2016, per crescere fino a 176mila nel 2020. Il dato più interessante che emerge è che diminuisce leggermente il trend di posti di lavoro strettamente legati al settore Ict, passando dalle 654mila unità del 2012 alle 632mila previste nel 2020, ma cresce la richiesta di figure con competenze in information technology di alto livello anche in settori fuori dall’Ict, passando da 675 mila professionisti nel 2012 agli 808 mila previsti nel 2020, solo per quanto riguarda l’Italia.

L’Italia ha, a livello europeo, uno dei più bassi tassi di occupazione. Ciononostante, ha proporzionalmente anche il più alto numero di posizioni aperte nel settore tecnologico e che non riescono a trovare candidati idonei.

Gli studi nel settore si moltiplicano; i dati variano ma non la sostanza. Un report Modis mette in risalto che nel 2013 c’erano 15.000 posti di lavoro liberi nel settore hitech in Italia e si prevede che il prossimo anno arriveremo a 19.000. L’anno scorso 3.000 di queste posizioni sono rimaste scoperte, quest’anno non saranno colmati almeno 4.000 posti. Oltre la metà di queste posizioni erano per un impiego full time.

Questi dati confermano quanto emerso a luglio dal rapporto 2014 dellOsservatorio Competenze Digitali (Agid, Assinter, Assintel, Assinform): le aziende faticano a trovare competenze digitali adeguate, sia tra i neo assunti sia tra per posti di manager o senior. Paradossalmente, c’è anche un calo della formazione dei dipendenti. E’ il cosiddetto “skill gap”. “E’ in atto una profonda trasformazione dei modi di produrre e fare sistema, basata proprio sulle tecnologie digitali. È un fenomeno inarrestabile. Allineare le competenze digitali disponibili a fabbisogni in continuo divenire è oramai condizione essenziale per fare impresa e creare occupazione”, ha detto Agostino Santoni, presidente di Assinform. “E’ necessario partire dalle persone e dalle loro capacità e competenze per rilanciare il futuro del Paese” aggiunge la presidente di Assinter Clara Fresca Fantoni. In Italia mancano all’appello dai 60mila ai 100mila professionisti Ict, per soddisfare le esigenze del mercato, secondo una stima della Commissione europea. Per questo motivo è nata a giugno la Coalizione Nazionale sui Digital Jobs, promossa da Agid”.

Il problema, ovviamente, non riguarda solo l’Italia. Secondo Eurofound (società di ricerca della Ue), il 40% delle aziende europee fatica a trovare candidati che presentino le competenze adeguate, un dato in continua crescita (nel 2008 la percentuale si attestava intorno al 37%, nel 2005 al 35%). La problematica tocca in particolar modo il settore della scienza e della tecnologia: entro il 2015, si stimano circa 900.000 posizioni vacanti in Europa nell’Ict (fonte: Coalition for Jobs, “The Social Imperative”). Già oggi si stimano circa un milione di posti di lavoro vacanti in ambito It, mentre le richieste di esperti in materie Stem (Science, Technology, Engineering & Mathematics) hanno registrato un’impennata addirittura del 300% a livello mondiale (secondo uno studio promosso da Elance, società di ricerca del personale).

Le aziende tecnologiche sono tra le prime a preoccuparsi di non trovare più gli specialisti di cui hanno bisogno e si stanno impegnando per aiutare a colmare questo squilibrio. Adeguare la formazione superiore e universitaria alle nuove esigenze è considerato imperativo. Oracle, per esempio, dal 2004 promuove Oracle Academy, un programma che fornisce ai corpi docenti di università e istituti superiori in tutto il mondo (anche in Italia) un portafoglio completo di software, tecnologie gestite, programmi di studio pre-definiti, sessioni di training per gli insegnanti e risorse di certificazione da utilizzare a fini didattici. In Italia, inoltre, Oracle ha attivato una collaborazione con Luiss Business School e a marzo partirà il primo MBA che mira a formare i data scientist italiani.

Oracle fa parte anche della “Grand Coalition for Digital Jobs”, un’iniziativa europea per favorire la formazione hitech e far incontrare il mondo dell’istruzione con quello del lavoro, di cui fanno parte molte altre aziende, tra cui Microsoft, Huawei, Cisco, Hp, Sap, Google, Samsung, Intel. Molte di queste aziende hanno programmi specifici in Italia. Huawei per esempio organizza il Talent Lab, un programma di formazione dedicato agli studenti universitari italiani nel campo dell’ingegneria informatica e delle telecomunicazioni e realizzato in collaborazione con il Miur. Cisco Systems ha presentato il primo curriculum al mondo dedicato all’Internet of Everything, che aiuterà a soddisfare la domanda di skills Ict e darà alla prossima generazione di innovatori la capacità di cogliere pienamente le potenzialità dell’Internet delle cose. Per ora è in inglese ma verrà poi offerto in altre lingue all’interno della Cisco Networking Academy, che esiste anche in Italia.

Spetta ora a famiglie, scuole e governi far passare il messaggio: anche l’hitech, la scienza e la matematica possono dare un buon lavoro e magari far crescere anche il Paese.

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