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Le rispettabili lacrime di Livia Turco

Con tutto il rispetto per la lunga militanza politica di Livia Turco, non nuova a commuoversi per ogni ricordo che le è caro, la sinistra postcomunista che pensava di riciclarsi mescolandosi assieme a modesti clericali disfattisi di partiti invece meritevoli di rivalutazione per i grandi risultati storici prodotti in Italia (come la Dc), è oggettivamente un “ferro vecchio”. Che i giovani leopoldini intendono rottamare proprio perché usurata, inservibile per una riscossa riformatrice, magari trascinandosi una “grande storia” alle spalle, ma proprio per questo non perpetuabile all’infinito. Lo stesso crollo di iscrizioni al Pd che tanto fa commuovere Livia Turco (che nella sua vita ha ricoperto numerosi e prestigiosi incarichi di partito e di governo inserendosi nei cerchi magici di nomenclature inamovibili), altro non è che la logica reazione di militanti sperduti fra antichi ideologismi bollati dalla storia e nuovi assalti giovanilistici in scatole di cartone contenenti propositi i più diversi, addirittura da molti letti come contraddittorie reiterazioni di progetti altrui, anche di marchio berlusconiano.

Si potrebbe semmai sostenere, dati i tumultuosi e spesso inconcludenti tentativi di mantenere in vita una sinistra che non è più quella d’un tempo (la si accettasse o la si contrastasse, come accadeva a chi scrive), che Livia Turco è una donna politica rispettabile. Che, però, non si arrende al logorio dei tempi; e non riesce neppure più a comprendere che idee, metodi di lotta, correnti politiche, misure per affrontare le fasi recessive dell’economia e tutto l’armamentario tradizionale dei partiti, non piacciono più alla grande maggioranza di donne e uomini che sono stati a lungo comunisti e non hanno ancora preso atto che, almeno da venticinque anni, l’internazionalismo sovietico non è più nei cuori e nei desideri di milioni di persone che subivano e non condividevano il promesso paradiso in terra. Questo radicale ribaltamento di sentimenti, di impulsi, ma anche di gestioni autoritarie, non è più proponibile. E comunque non può più tornare, né costituire una sinistra che, sentendosi accerchiata dall’Occidente democratico, continuava ad opporvisi nel segno della conservazione di rendite di potere.

Le lacrime di Livia Turco meritano rispetto e non irrisione. Ma ciò che le motiva – si rassegni la comunista tutta d’un pezzo – è davvero archeologia politica. Definirla “ferro vecchio”, è una constatazione e neppure più un giudizio, men che meno di valenza storica.


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