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Libia, la nostra priorità come Italia e come Europa

La Libia di oggi appare alla paralisi, con istituzioni impotenti e con la sicurezza nazionale al collasso.
La sentenza della Corte suprema che annulla le elezioni rende la situazione certamente più difficile e comunque apre un nuovo scenario in quella crisi.

Ovviamente la decisione della Corte ha determinato prime reazioni di segno diverso tra loro. Noi pensiamo che si debba essere prudenti in attesa di ricevere e approfondire elementi sulle motivazioni di questa decisione. Abbiamo però ancor più chiaro un dato: questi ulteriori sviluppi devono rafforzare la determinazione della Comunità Internazionale e dell’Europa in primo luogo nel richiedere alle parti un cessate il fuoco, l’apertura di corridoi umanitari e il rilancio del dialogo politico.
Oggi ancor più di ieri una soluzione militare della crisi è inaccettabile.

Cos’è la Libia oggi? È un Paese profondamente diviso, uscito da una rivoluzione ma dal quale la guerra non è scomparsa.
Le forze che avevano vinto le elezioni ora annullate controllano le città di Tobruch e Beida nell’Est del Paese. Quelle che non hanno riconosciuto legittimo il governo eletto controllano Tripoli e a Bengasi combattono contro il gen. Haftar. Ci sono poi alcune zone a Ovest controllate dalle milizie di Zintan e il Sud è sopratutto sotto il controllo di milizie locali.

Questa sommaria fotografia per rendere chiara a noi tutti la complessità di una situazione che si può superare solo se tutti i libici partecipano al processo politico. Anche perchè la stragrande maggioranza di libici vuole il Paese unito. Del resto nessuno è abbastanza forte da poter controllare da solo il Paese anche con un rilevante aiuto dall’esterno.
La possibilità che la Libia diventi un failed- state, con tutte le ovvie ripercussioni sul’intera regione, è un rischio semplicemente inaccettabile per l’Italia e per l’Unione Europea.

Conosciamo le possibili conseguenze di questa crisi; l’irradiamento dell’estremismo jihidista, (che come sappiamo è già comparso sul versante orientale al confine con l’Egitto), la perdita del controllo alle frontiere rispetto ai flussi migratori, e in particolare al confine sud con il Sahel che ha come conseguenza anche il transito di militanti e dei traffici di armi e merci, nonchè le conseguenze per quanto riguarda l’accesso alle risorse energetiche. Tutti fattori che mettono a rischio l’intero quadrante e le condizioni di sicurezza della stessa Unione Europea.

Ma se la Libia è così importante per l’Europa, l’Europa è altrettanto importante per la Libia, più di quanto lo siano i suoi stessi Paesi vicini.
Consentitemi a questo proposito una piccola parentesi. Conosciamo tutti le criticità che hanno finora ostacolato il processo di integrazione europea della difesa e la costituzione di una effettiva politica estera e di sicurezza comune. Ritengo però, senza retorica, che le due crisi di cui stiamo discutendo in questi due giorni, quella Ucraina e ancor più quella libica possano rappresentare l’ occasione per effettuare un salto di qualità. Proprio a Vilnius nel dicembre 2013 parlavamo di alcune direttrici comuni di politica estera per determinate aree o emergenze anche al fine di avanzare progressivamente verso una politica estera e di difesa comune.

Che fare dunque?

A questo punto è prioritario insistere nel perseguire un processo di riconciliazione nazionale e un vero e proprio nation-building.
Ovviamente la crisi libica ha radici profonde; anche se c’è da dire che in questo scontiamo, purtroppo, anche errori recenti; ad esempio è opinione diffusa che nel contesto del dopo Gheddafi, sarebbe stato meglio che le forze Nato restassero nel paese, aiutando il nuovo governo nella formazione di forze di sicurezza nazionale e nel disarmo delle milizie.
Dunque stabilizzare la situazione politica in Libia è una assoluta priorità per l’Europa. Così come pace e sicurezza in Libia è condizione per la stabilità del Nord Africa e dell’intero Mediterraneo.

L’occidente e l’Unione europea non hanno molto tempo per agire: in tale quadro, le iniziative dell’inviato dell’Onu per la Libia Bernardino Leon vanno sostenute convintamente e le relative indicazioni vanno implementate al più presto possibile.
Sappiamo che avviare un percorso di nation-building e poi di state-building, non è un compito facile.
E nella situazione che si è venuta a creare, nelle more di un maggiore approfondimento sulle nuove iniziative da assumere vale la pena tenere fermi almeno due punti. Il primo, è essenziale che la comunità internazionale sappia agire, per avere qualche speranza di efficacia, in maniera unitaria, sulla base del quadro giuridico normativo rappresentato dalla risoluzione n° 2174 del 27 agosto 2014, e dei principi e delle intese concordate in occasione delle riunioni recenti, in particolare quelle di New York e Madrid.

Spero peraltro che in queste ore si riesca a condividere una reazione unitaria alla sentenza tra tutti i partner già impegnati direttamente sul dossier Libia: oltre all’Italia, che con Ungheria e Malta sono gli unici Paese a avere ancora aperte le loro ambasciate, la Gran Bretagna, la Germania, la Spagna, gli Stati Uniti e le Nazioni Unite.. Il secondo, la dichiarazione congiunta dei governi di Francia, Italia, Germania, Regno Unito e Stati Uniti con cui si condannano con forza le violenze in corso in Libia e si chiede l’immediata cessazione delle ostilità deve essere sostenuta , in accordo con la Risoluzione 2174 da sanzioni individuali contro coloro che minacciano la pace, la stabilità e la sicurezza della Libia o contro coloro che si oppongono o tentino di sabotare il processo politico, sul presupposto che non può esistere una soluzione militare alla crisi libica.

A questo proposito sarà importante adottarle in ambito UE per evitare che un qualsiasi veto le possa bocciare in sede ONU
Stabilizzare la Libia è una impresa che in questo momento appare ardua e per qualcuno impossibile. Noi Europa invece non dobbiamo mollare e essere in prima fila per sconfiggere le posizioni estremiste presenti in tutti gli schieramenti che si combattono e fermare ogni iniziativa che possa ostacolare il processo politico perseguito dall’inviato delle Nazioni Unite.



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