Dopo la pubblicazione dei conti (positivi) del terzo trimestre, anche le quotazioni di Borsa hanno tirato il fiato. Il lusso italiano è in crisi? Le voci sono controverse. C’è chi parla di bolla già scoppiata, visto che i titoli hanno ceduto da inizio anno, tutti, da Moncler, a Ferragamo, a Cucinelli, a Yoox, a Tod’s a Prada (quotata a Hong Kong), a Safilo (con l’eccezione di Luxottica che è in parità) tra il 30% e il 50%. Colpa della corsa eccessiva degli anni scorsi, dietro cui, insinuano i sostenitori della bolla, non c’erano numeri a supporto.
IL LUSSO CRESCERÀ ANCORA
Rallentamento dei consumi da parte dei nuovi ricchi cinesi, sfavorevole cambio valutario, minacce geopolitiche, dall’ebola, alla crisi russo-ucraina, all’Isis, alle rivolte di Hong Kong che hanno messo a rischio i viaggi e gli acquisti nei centri dell’alta moda. Tutto questo ha pesato in maniera massiccia sulle italiane del fashion. Ma la crescita e la proverbiale resilienza dei consumi del comparto alla lunga avranno la meglio. secondo il consensus della Fondazione Altagamma con la collaborazione dei maggiori analisti internazionali specializzati, nel 2015 gamma tutte le categorie di prodotto vedranno le vendite aumentare, con pelletteria, scarpe e accessori che mostrano il più alto tasso di crescita (6%). L’abbigliamento è in crescita stabile (+4%) così come profumi e cosmetici.
Riguardo ai mercati, tutti avranno incrementi positivi. Soprattutto Asia, Medio Oriente e resto del mondo (+6%) mentre tutta l’America, Nord e Sud, si attesta al 4% come l’Europa. Non le crescite stellari a cui siamo stati abituati, ma comunque un quadro positivo.
…E SCONFIGGERÀ LA CRISI
E anche un ritorno a ritmi sostenibili. “Negli ultimi anni il lusso europeo ha fatto meglio dello Stoxx 600, dimostrando la sua anticiclicità anche nella parte peggiore della crisi – si legge in un report a firma di Paola Carboni, analista del lusso di Equita Sim – Poi, da inizio 2014, l’indice ha perso circa il 20%, tanto che il consensus ha inglobato un taglio del 13% nelle stime di eps. Anche le italiane, Moncler, Ferragamo, Tod’s, Prada e Cucinelli sono coinvolte: le valutazioni continuano a essere attraenti, in media 17,8 volte gli utili 2015, un multiplo che rappresenta un buon punto di ingresso”. Discorso che vale soprattutto per Moncler che gode di “un brand forte e anche di una limitata esposizione all’Asia ex-Giappone. Ferragamo è più presente in Asia, ma ha dalla sua una forte esposizione ai viaggiatori e la presenza nelle città minori della Cina oltre che su un attento controllo dei costi”. E poco conta dove sia concentrata la produzione epr decretare la bontà di un’azienda del lusso: paradossalmente le migliori prospettive per Equita si concentrano appunto su una realtà che è stata demonizzata di recente per aver de localizzato selvaggiamente laddove il costo si riduce drasticamente (Moncler) e su una, Ferragamo, che invece produce tutto nel Belpaese appaltando ad artigiani per lo più toscani. La prima ha visto il fatturato dei novi mesi 2014 crescere del 18%, la seconda del 5%.
NUOVO M&A IN VISTA?
I gioielli italiani del fashion sono stati in passato oggetto di acquisizione da parte di imprese straniere, soprattutto i colossi francesi Kering e Lvmh. Che potrebbero riconsiderare un’azione di conquista alla luce dei multipli attuali. “L’appetito per i piccoli player le cui quotazioni sono ora sui minimi storici – conclude Rebecca Kaddoum, gestore del fondo Comgest Growth Greater Europe Opportunities – si è in effetti riacceso”. Ma prima di stracciarsi le vesti in nome di una perdita di italianità, occorre osservare che le prede italiane finite negli ultimi anni Oltrealpe hanno conservato la base produttiva entro i confini nazionali: da Loro Piana (gruppo Lvmh), che cuce la sua lana pregiata in Val Sesia, a Gucci e Bottega Veneta, rispettivamente a Firenze e Vicenza anche dopo il passaggio sotto l’egida di Kering. Insomma, il lusso made in Italy non morirà, nonostante i tonfi in Borsa e il possibile ritorno dei predatori francesi.