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Matteo Renzi, il PD, e i nuovi sondaggi

I dati dell’ultimo Atlante Politico di Ilvo Diamanti ci consegnano una rappresentazione particolare dell’Italia di oggi.

Renzi, il Governo e il consenso

Il Partito Democratico guidato da Matteo Renzi, che è anche Presidente del Consiglio, passa dal 40,8% delle elezioni europee al 36,3% (-4,5). L’indice di fiducia nel Governo crolla, è il caso di dirlo, dal 69% del giugno 2014 al 43% del novembre 2014. Il Governo di Enrico Letta, nello stesso mese dell’anno precedente,  aveva il 46.5%.

Il Premier perde appeal tra gli elettori di tutti gli schieramenti e tra tutte le categorie professionali. In modo più forte tra imprenditori e disoccupati, impiegati e pensionati.

Anche l’indice di gradimento del Premier scende dal 74% di giuno 2014 al 52% di novembre 2014. Un crollo sensibile che dovrebbe far riflettere.

A fronte di una crisi forte del consenso personale di Renzi,però, gli italiani si dimostrano comunque fiduciosi sul futuro del Paese: per il 73% degli intervistati la situazione economica migliorerà nei prossimi 12 mesi e per il 71% scenderà la disoccupazione.

Nuovi leader e nuove tensioni

I dati che Diamanti ci propone ci fanno osservare che l’azione del Governo, che alcuni avevano definito “affetta” da “annuncite” ha prodotto i suoi primi effetti negativi sul piano del consenso politico. Le tensioni che Matteo Renzi ha creato all’interno del suo stesso partito hanno sicuramente avuto una forte ripercussione sugli elettori, e sulla fiducia che essi potevano riporre nel nuovo Leader.

Il consenso netto di Matteo Renzi tra gli elettori del PD, infatti, è sceso di 18 punti percentuali e di 14 punti percentuali negli elettori di SEL. Il PD perde 4.5 punti percentuali nelle intenzioni di voto e aumentano, invece, SEL e Lega Nord.

Se per l’aumento di SEL mi rallegro, passando da un 4% delle europee al 6,2% oggi (sempre intenzioni di voto), mi preoccupo invece della crescita vertiginosa della Lega Nord di Salvini che passa dal 6,2% delle europee al 10,2% di oggi.

Le tensioni sociali che si sono acuite con le recenti discussioni su Jobsact e riforma dell’art.18 hanno riaperto nuovi fronti di scontro: una cosa davvero poco intelligente. Il Popolo della sinistra non riconosce nel leader del partito che “avrebbe potuto” rappresentarli (sicuramente lo faceva sotto Bersani) e individua in Maurizio Landini una nuova figura da seguire. A destra, Berlusconi ha ormai perso completamente forza tanto che il suo partito è uno dei pochi, assieme a Fratelli d’Italia e NCD a non aver recuperato alcun consenso, fermo al 16% come a maggio 2014 (segno della sua incapacità di convincere gli elettori: per fortuna!).

La situazione è ancor più drammatica, per me, considerando che nell’indice di gradimento dei leaders Matteo Salvini raggiunge il 30% (+7,7%) subito sopra Maurizio Landini con il 28%. A seguire una improbabile Giorgia Meloni, con il 27%. Silvio Berlusconi al 20% e Beppe Grillo al 18% in caduta libera da mesi.

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Il M5S: dalle stelle alle stalle

Il M5S, l’unico partito di opposizione forte, che aveva un pacchetto di voti di oltre il 25% sembra passato, per usare una nota metafora, dalle stelle alle stalle. Perde pezzi ad ogni rilevazione di gradimento e fiducia. La sua forza si è fortemente ridimensionata, seppur rispettabilissima. Il 18% dei consensi. Un partito cuscinetto che potrebbe, se viene abbandonata del tutto la loro indole polemica e poco cooperativa, definire i futuri equilibri di potere.

Per assurdo, alle prossime elezioni nessuno, se passa la legge elettorale voluta da Renzi, raggiungerà il 40% e dunque sarà necessaria un’alleanza. Il M5S potrebbe proporsi per la famosa terza-via all’italiana: PD-M5S-SEL una sorta di Rot-Rot-Grün Koalition alla tedesca, come quella appena iniziata in Turingia e in Brandeburgo.

Ma il punto interrogativo è grosso: il M5S vuole davvero essere un partito capace di influire positivamente sulla vita del Paese, o si accontenta di essere la piazza degli schiamazzi che è stata fino ad oggi?

 

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