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Mps, Carige e non solo. Tutte le anomalie anti Italia degli stress test

E’ la profonda crisi delle grandi imprese italiane ad aver penalizzato pesantemente il sistema bancario italiano nell’esercizio straordinario di vigilanza prudenziale sulle banche europee di rilievo sistemico appena concluso dalla Bce. Dalle risultanze diffuse domenica scorsa è emersa una inattesa, forte correzione del credito Corporate, una criticità manifestatasi subito in tutta la sua pesantezza nel corso dell’esercizio preliminare di revisione della qualità degli impieghi (AQR). Tutto il resto delle sofferenze sugli impieghi, verso le piccole e medie imprese e le famiglie, era invece già stato abbondantemente nettato. Del pari, non è emersa alcuna criticità nascosta in ordine alla detenzione di titoli di Stato.

E’ importante ricostruire con cura i diversi aspetti che emergono dal Rapporto della Bce: al di là degli scenari apocalittici delineati dagli stress test, in funzione dei quali si impone una frettolosa operazione di ricapitalizzazione che in Italia riguarda due sole banche (Monte dei Paschi e Carige), è importante dar conto di quanto il nostro sistema bancario sia uscito malconcio dalla prima fase della verifica, la Asset Quality Rewiew (AQR).

IL CONFRONTO FONDAMENTALE

Il risultato di queste analisi è stato diverso rispetto a quanto ci si attendeva: nel confronto internazionale, le banche italiane sono state quelle che hanno subito l’aggiustamento complessivamente più rilevante in termini assoluti, con rettifiche del valore degli asset creditizi per -12 miliardi di euro (rispetto ai -6,7 mld delle banche tedesche ed ai -5,6 mld di quelle francesi). Le correzioni in negativo si sono concentrate nel segmento Corporate: per ben 10,2 miliardi sui 12 di rettifiche complessive (l’85%). Per questa tipologia di credito, il solo Monte dei Paschi ha subito un aggiustamento di -4.180 milioni su rettifiche totali per -4.246 milioni (il 98%): è un ancora inspiegato harakiri, per una banca il cui bilancio è stato visto e rivisto da tutti, dalla Vigilanza della Banca d’Italia al Ministero dell’economia, fino alla Commissione europea per via degli aiuti di Stato concessi in più riprese.

EFFETTO CREDITO

Molto meno, invece, hanno pesato sul sistema bancario italiano le correzioni relative al credito nel segmento Retail SME: -644 milioni nel complesso, concentrati in quattro istituti (Banco Pop. -440; PopVi -137; UniCredit -63 e Mediobanca -4). Il settore Residential Real Estate ha avuto a sua volta rettifiche irrisorie, per -122 milioni. Il resto del credito Retail ha registrato correzioni per -419 milioni. Quello che veniva considerato un fattore di rischio peculiare per le nostre banche, l’esposizione al debito sovrano, ha comportato una sola svalutazione, di 3 milioni di euro.

CHE COSA HA MOSTRATO L’AQR

L’Asset Quality Rewiew ci ha quindi restituito un inedito selfie: se, per un verso, il nostro sistema bancario aveva correttamente valutato e rappresentato il credito erogato alle famiglie ed alle piccole e medie imprese, nonché quello riferito all’immobiliare residenziale, le carenze sul versante Corporate non erano state invece correttamente messe a fuoco. Dal Rapporto non emergono strumenti analitici utili per esprimere un giudizio sul punto: può darsi che i criteri fin qui utilizzati dalla Banca d’Italia siano stati meno stringenti rispetto a quelli utilizzati nell’esercizio svolto dalla Bce; può aver contato la scarsa esperienza del nostro sistema bancario nell’affrontare i problemi del finanziamento a medio e lungo termine delle imprese; può esserci stata una certa vischiosità nell’affrontare le tematiche relative ai grandi clienti, visto che è molto più facile chiudere il conto ad una bottega artigiana che ritirare i finanziamenti ad una grande impresa. Di sicuro, più di tutto è stata determinante la eccezionale crisi che ha colpito l’Italia in questi anni, soprattutto nel suo cuore produttivo.

I NUMERI DEGLI ISTITUTI ITALIANI

La vera battuta di arresto per le banche italiane è derivata dagli esiti della AQR: la percentuale media del Cet1 (Common Equity Tier 1) sugli impieghi (Risk-weighted Asset) è passata dal 10,17% al 9,47% e ben 9 banche sulle 15 scrutinate si sono venute a trovare con un rapporto inferiore alla soglia minima dell’8%. Il confronto con le banche degli altri Paesi rende ancora più evidente la pesantezza degli esiti della AQR per le banche italiane: nessuna banca austriaca e belga è scesa sotto l’8%, mentre due banche tedesche, una francese ed una spagnola hanno concluso la revisione con un Cet1 ratio al di sotto di questa soglia confermando però la medesima percentuale che avevano già precedentemente, sulla base del bilancio 2013.

COME SI SONO RAFFORZATE PATRIMONIALMENTE LE BANCHE

E’ stato quindi giocoforza per le banche italiane mettere in campo, tra il 1° gennaio ed il 30 settembre di quest’anno, operazioni di rafforzamento del capitale con operazioni nette per 11,2 miliardi di euro, metà finalizzati a colmare il deficit di capitale e metà a ricostituire un buffer di disponibilità. C’è da dire che in questa operazione di recupero nel corso del 2014 le banche italiane sono state in buona compagnia, visto che anche le banche tedesche hanno effettuato cospicue operazioni di rafforzamento, per 14,5 miliardi di euro, anche se finalizzate solo ad incrementare il surplus di capitale.

I DATI SISTEMICI ESSENZIALI

A questo punto, la simulazione condotta con gli Stress test su proiezione triennale, soprattutto quelli fondati sullo scenario avverso, non ha fatto altro che enfatizzare le carenze già emerse con la AQR. Comparando i risultati degli Stress test relativi alle banche italiane con quelli delle banche francesi e tedesche, si rilevano amplificazioni meno che proporzionali rispetto agli aggiustamenti apportati con la AQR. In valori assoluti, infatti, gli Stress test hanno infatti determinato per le banche italiane un fabbisogno aggiuntivo di capitale di 35,5 miliardi di euro (rispetto ai -12 miliardi della AQR), di 30,8 miliardi per quelle francesi (rispetto ai -5,6 miliardi della AQR) e di 27 miliardi per quelle tedesche (rispetto ai -6,7 miliardi della AQR). Il sistema bancario italiano, che aveva risentito più di tutti della AQR, non sembra essere stato ulteriormente penalizzato dagli Stress Test.

LE POLITICHE ERRATE

Il Rapporto della Bce rimette al centro il nesso tra la solidità delle banche e lo stato di salute delle grandi aziende: è quindi assai fanciullesco illudersi della possibilità di rimediare alla scarsa competitività del nostro sistema economico limitandosi ad abbassare i salari o rendendo più facili i licenziamenti. Né un punto di Irap in meno può risollevare le sorti di una azienda: al contrario, come è accaduto per la lunga stagione della moderazione salariale, si alleggerisce temporaneamente il conto economico nascondendo gli squilibri strutturali, dalla mancanza di capitale alla obsolescenza degli impianti, alla inesistenza di una strategia di sviluppo. E’ così che si traccheggia, anno dopo l’altro, un giorno dopo l’altro: mano nella mano, banche ed imprese.

I NUMERI SMENTISCONO I TEOREMI

Il problema principale, ormai, non è più quello della resilienza delle banche italiane di fronte alla crisi in atto, o ai rischi derivanti da uno scenario avverso: anche a seguito delle misure di rafforzamento adottate nel corso del 2014, c’è ormai un ampio buffer di capitale, con una dotazione che eccede i requisiti minimi di ben 28,5 miliardi di euro. Carige e Monte dei Paschi, non va dimenticato, hanno già un capitale idoneo a fronteggiare l’attività verificata con l’AQR, con un’eccedenza rispettivamente di 69 e di 1.294 milioni di euro, ma devono integrarlo per far fronte alle sfide poste dallo scenario avverso degli Stress test. E’ stata data priorità assoluta alla verifica degli asset ed all’adeguatezza del capitale bancario, e finalmente si è fatta chiarezza: c’è, ed è pure esuberante.

CERCANSI INDIRIZZI STRATEGICI

C’è invece un tema politico, sistemico, strutturale, su cui non si dibatte: non basta affidarsi alla politica monetaria, alle manovre sul tasso di sconto e sulla liquidità, né basta la politica fiscale. Meno ancora serve la coriandolata continua di strumenti innovativi, che non decollano perché privi della necessaria massa critica e continuità di impegno: dal Fondo Strategico ai minibond, dalla possibilità di finanziare l’economia reale concessa ad Assicurazioni e Fondi previdenziali, fino agli interventi della Cassa depositi e Prestiti ogn’ora invocata. Della Banca per il Mezzogiorno si sono perse le tracce: “missing in inaction”. Se c’è un problema grave di finanziamento delle imprese, è anche perché mancano indirizzi strategici per lo sviluppo del Paese: si fanno solo delle gran chiacchiere, convegni inutili.

L’AGENDA INDISPENSABILE

Serve una vera agenda: per affrontare i temi della crescita, definendo le priorità e sciogliendo i nodi della ricapitalizzazione delle imprese, del finanziamento degli investimenti produttivi e delle relazioni con il sistema bancario, come si fece nel 1977 con la legge per la riconversione industriale, la ristrutturazione di settore e la introduzione della CIG straordinaria, dopo la crisi petrolifera del ’73.

CONCLUSIONE POLITICA

Non si può attendere inerti, contando sul fatto che ormai le banche hanno anche il capitale da bruciare nello scenario più avverso. Né va sottovalutata la breccia senese: è ampia abbastanza perché vi si insinui un atteso cavallo di Troia, capace di far concorrenza a tutti. Il mercato è fatto di interessi, non di chiacchiere, ed è per questo che la politica si occupa di tutt’altro: serve tanto rumore, per nulla.

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