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Perché la Nato tornerà centrale con Obama azzoppato

Molti si chiedono cosa accadrà a Washington nei prossimi due anni, dopo la sconfitta del Partito Democratico alle elezioni di mezza via (Medium Term), dato che, in conseguenza del voto del 4 novembre, il Presidente Obama non potrà contare su nessuno dei due rami del Parlamento.

Di per sé, la nuova situazione non dovrebbe aggravare visibilmente i problemi attuali, visto che, finora, la battaglia tra il Congresso e la Casa Bianca è stata senza esclusione di colpi. In fondo, il Presidente Obama è il settimo “Chief Executive” a trovarsi in questa situazione, e nel passato, bene o male, il confronto pur serrato tra il potere esecutivo e quello legislativo ha spinto le parti a concordare provvedimenti e decisioni importanti per il Paese.

I problemi che affliggono oggi gli Stati Uniti sono, però, più seri di quelli passati: un debito pubblico alle stelle (e, in parte non trascurabile, sottoscritto da Potenze competitrici, come la Cina), una perdita di influenza sempre più marcata nel continente americano, e una situazione in Asia che è prossima al calor rosso.

Il presidente Obama si è dedicato, durante i suoi due mandati, principalmente a introdurre un minimo di “Stato Sociale” nel suo Paese, incontrando una decisa opposizione che ha assorbito gran parte delle sue energie e della sua attenzione. In politica estera, invece, egli è stato più reattivo che prodigo di iniziative, memore del fatto che il suo predecessore, con il suo attivismo in politica estera, ha prodotto un enorme “buco” nel bilancio del quale il Paese stenta a liberarsi.

A questo si aggiungono una serie di problemi strutturali, che molti commentatori elencano con preoccupazione, e precisamente:

“un sistema politico di bilanciamento tra i poteri inventato dalle migliori menti del XVIII secolo che sembra terribilmente inadeguato a gestire il complesso, intricato e pericolosissimo mondo del XXI secolo;

il fatto che ambedue i partiti politici sono ormai dominati dalle loro ali estreme, escludendo il centro e strangolando la prospettiva di compromesso, dato che nessuna parte concorderà sui problemi basilari delle tasse, delle spese e della dimensione del governo;

Il finanziamento delle campagne elettorali ha distorto il sistema politico scatenando una continua caccia al denaro. La politica è ora una campagna continua per vincere l’elezione o la rielezione, discreditando l’opposizione il più rudemente possibile, e non è più indirizzata a fornire un buon governo del Paese;

Dopo il singolo mandato del Presidente George H. W. Bush, gli americani non hanno (più) eletto un Presidente che avesse una sufficiente esperienza e qualificazione per l’incarico, all’inizio del suo mandato”[1].

A ciò si aggiunge la difficoltà della Casa Bianca, il cui staff è cresciuto esponenzialmente, a fornire una guida strategica al Paese: sono infatti molti a lamentarsi dell’eccessivo livello di “micromanagement”, cui si dedicano troppe energie all’interno dell’ufficio del Presidente, e dell’assenza di visioni più atte a riportare il Paese agli splendori del recente passato, ammesso che ciò sia possibile.

Il problema maggiore degli Stati Uniti oggi non è più il possibile stallo nella collaborazione tra i Poteri, bensì la sua crescente debolezza economica e militare (le due cose vanno a braccetto) e l’eccessiva attenzione ai problemi interni, a scapito di un’azione decisa e lungimirante in politica estera.

Cosa ci si può attendere, nei prossimi due anni? La principale realtà è che, in conseguenza di tutte queste difficoltà interne, gli Stati Uniti limiteranno ancor più la loro azione nelle crisi internazionali, rispetto al passato, anziché tentare di influenzare gli eventi. Di conseguenza, la NATO dovrà tentare di compensare l’indebolimento della leadership americana, ricercando il consenso tra tutti gli Alleati.

Il fatto che l’onere dell’azione possa ricadere su noi europei – se vorremo influire, sia pure in minima parte, sugli eventi – comporta una maggiore responsabilità ma offre anche l’occasione per far decollare finalmente la Politica Comune di Sicurezza e Difesa dell’UE, se quest’ultima vorrà porsi come un autorevole interlocutore della NATO. Questa sarà la sfida più grande per il Servizio di Azione Esterna dell’Unione Europea e per il suo nuovo Capo, l’on. Mogherini, ma non vi è alternativa.

Agire tutti insieme, in Europa, significa trovare la maniera di andare d’accordo, cosa che, finora, non è avvenuto. Ma anche l’Unione deve fare lo stesso con la NATO: l’esperienza operativa che l’Alleanza ha accumulato in questi decenni la rende preziosa per qualsiasi azione che includa l’uso effettivo o potenziale della forza.

Ricordiamo le “Tre D” della Albright: No Decoupling, No Duplication, No Discrimination” (no al disaccoppiamento transatlantico, no alle duplicazioni, no alle discriminazioni). Ancor più dello sviluppo congiunto delle capacità, le “Tre D” ci ammoniscono a ricercare sinergie in Europa e nella NATO, a ridurre la competizione e le tensioni interne tra gli Stati e a esercitare un’azione moderatrice e di contenimento intorno a noi.

1 H. ULLMAN. Is America governable?. Huff Post, 3 novembre 2014.



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