No alle corsie veloci su Internet: il dibattito sulla net neutrality si infiamma negli Stati Uniti ora più che mai, dopo l’intervento del presidente dello U.S. Senate Judiciary Committee, Patrick Leahy, che ha invitato i grandi Internet provider americani a impegnarsi a non stringere accordi con i siti web per permettere ad alcuni di questi di far “viaggiare” più velocemente su Internet i loro contenuti e di non concedere simili “corsie veloci” ai loro servizi affiliati.
BOTTA E RISPOSTA CON GLI ISP
Comcast ed At&t si sono affrettate a replicare alla Commissione giustizia del Senato indicando che non hanno alcuna intenzione di creare “corsie veloci” su Internet che sarebbero lesive della libertà dei consumatori di navigare il web. Ma il botta e risposta è solo l’ennesimo capitolo di un dibattito in corso da mesi negli States sulle regole della net neutrality, che vorrebbe in teoria che il traffico web sia trattato tutto allo stesso modo, senza dare la precedenza ad alcuni siti, contenuti o servizi. Ma a maggio la Federal Communications Commission ha avanzato la proposta di nuove regole, che aprono la porta proprio a quegli accordi commerciali tra Internet provider e fornitori di contenuti sul web che Leahy ha condannato scrivendo ad At&t, Verizon Communications, Time Warner Cable, Charter Communications e Comcast.
Nelle sue lettere Leahy ha chiesto ai maggiori Internet service provider (Isp) americani di impegnarsi formalmente a non ricorrere agli accordi di “paid prioritization” con cui le aziende che offrono contenuti su web (come YouTube o Netflix) pagherebbero gli Isp per assicurarsi che il loro traffico venga consegnato all’utente finale in modo rapido e fluido. “Questi tipi di accordi rischiano di dividere Internet tra coloro che possono permettersi di pagare e coloro che non possono”, secondo Leahy, Democratico del Vermont.
“Abbiamo più volte charito che Comcast non fa prioritization del traffico Internet e non ha corsie veloci a pagamento, né pensa di crearle”, ha detto David Cohen, Executive Vice President di Comcast. At&t a sua volta ha specificato che non ha alcuna intenzione di stringere accordi con terze parti per dare priorità a parte del traffico che viaggia sull’ultimo miglio della rete dall’Isp verso il consumatore finale “senza che il consumatore stesso ne sia pienamente informato”.
Anche Verizon ha pubblicato una risposta a Leahy ribadendo che non ha in progetto alcun accordo per creare corsie preferenziali sul web e definendo la “paid prioritization” un “fantasma” e i timori dei paladini della net neutrality “demagogia”, dal momento che nessun Isp si è detto interessato a offrire questi accordi e che tutti concordano sul fatto che la Fcc “ha tutti i mezzi legali per proibirli”.
LE CONTROVERSA PROPOSTA DELLA FCC
Tuttavia in base alla proposta di regole avanzata a maggio dal presidente della Fcc Tom Wheeler per governare il modo in cui gli Internet service provider gestiscono il traffico sulle loro reti, gli Isp, pur non avendo facoltà di bloccare l’accesso a siti e applicazioni, potrebbero farsi pagare dalle aziende che offrono contenuti per garantire loro un’erogazione rapida e senza interruzione del traffico agli utenti, purché tali accordi siano, ha detto la Fcc, “commercialmente ragionevoli”. Sarebbe questa la tanto contestata “paid prioritization”.
Verizon, Comcast ed At&t avevano già indicato di non avere intenzione di ricorrere ad accordi del genere e il presidente della Fcc Wheeler si era affrettato a chiarire che non tollererà accordi lesivi della libera concorrenza o che danneggiano i consumatori. Ciononostante, le nuove regole proposte hanno sollevato aspre critiche dai paladini della net neutrality che le giudicano ben poco vicine ai principi di un web aperto e paritario, visto che rischiano di creare un Internet a due velocità. Dalla parte dei sostenitori della neutralità della rete (che vede in prima fila le aziende dei contenuti, come Google e Netflix, e le associazioni dei consumatori) si è schierato anche un comico molto popolare in America, John Oliver, contribuendo a sensibilizzare sul tema l’opinione pubblica e facendo lievitare il numero di commenti approdati nelle caselle di posta della Fcc nel corso della consultazione pubblica sulle nuove regole: ben 3,9 milioni, un record per qualunque agenzia governativa americana.
Ora la consultazione pubblica della Fcc si è chiusa e non esiste una scadenza formale per la Commission per fissare le nuove regole, che richiederanno, per essere approvate, il voto favorevole di almeno tre dei suoi cinque membri. Wheeler ha tuttavia detto che vuole stabilire le nuove regole in maniera spedita, quindi potrebbe presentare una nuova bozza delle norme sulla net neutrality, rivista in base ai commenti ricevuti, entro la fine dell’anno.
INTERNET E’ UN SERVIZIO PUBBLICO?
Un altro aspetto del dibattito americano sulla net neutrality si incentra sulla richiesta proveniente da alcuni dei paladini dell’Open Internet di riclassificare il broadband come utility o servizio pubblico: ciò permetterebbe alla Fcc di regolarlo più pesantemente. Anche in questo caso nei giorni scorsi la questione si è riaccesa perché la parlamentare democratica della California Anna Eshoo ha scritto alla Fcc invitandola a riclassificare la banda larga come pubblico servizio per salvaguardare la net neutrality, pur applicando un approccio “light touch”, quindi intervenendo con la regolamentazione in modo discreto.
Secondo la Eshoo, le norme proposte dalla Fcc, con i possibili “accordi commerciali” per la paid prioritization, non sono “atti a proteggere la libertà di espressione, la concorrenza e la natura aperta di Internet”. Le regole sulla net neutrality “devono essere basate su un solido impianto legale e fornire certezza a consumatori e aziende allo stesso modo”, scrive la Eshoo.
Pochi giorni prima della Eshoo, un altro parlamentare della California, Henry Waxman, si era rivolto alla Fcc sulla questione della net neutrality chiedendo un approccio “ibrido”, con una riclassificazione della banda larga come utility ma anche un esplicito divieto ai fornitori del broadband di bloccare o rallentare alcuni contenuti web e di far pagare alcuni servizi per avere le “corsie veloci”.
LO SMACCO DI VERIZON
Per molti osservatori, il fatto che si possa oggi parlare negli Usa di riclassificazione del broadband come utility è frutto delle (sconsiderate) strategie di Verizon che ha dato battaglia alla Fcc sulla net neutrality finendo col causare un tale movimento di protesta nell’opinione pubblica da spingere Wheeler a concedere qualcosa di più ai paladini della net neutrality. A gennaio, infatti, Verizon ha vinto un appello in tribunale dove aveva sostenuto l’inammissibilità delle precedenti norme della Fcc sul trattamento uguale di tutto il traffico su Internet: la U.S. Court of Appeals di Washington ha sentenziato che le regole della Fcc sulla net neutrality non erano valide perché la Commission era andata oltre i suoi poteri nel momento in cui stabiliva che i fornitori della banda larga non possono rallentare o bloccare parte del traffico web.
La decisione ha forzato la Fcc a riscrivere le regole, da cui è scaturita la nuova proposta di maggio con l’ipotesi di far pagare di più aziende come Netflix, Google o Amazon per far viaggiare più velocemente il loro traffico, ma a questo punto l’opinione pubblica si è sollevata a favore della net neutrality, costringendo il presidente Wheeler a promettere di riconsiderare la riclassificazione della banda larga come servizio pubblico di telecomunicazione, e perciò passibile di essere più fortemente regolato, un’ipotesi che ovviamente è osteggiata dalle telco. Questa opzione, nota come Title II, sarebbe l’unico modo legalmente accettabile, dopo la sentenza Verizon della corte d’appello, per proibire agli Internet provider di far pagare un accesso preferenziale ai loro clienti.
“A questo punto Wheeler, anche se alla fine si opporrà al Title II, dovrà offrire comunque qualcosa in cambio a chi lo sostiene”, afferma Berin Szoka di TechFreedom, un think tank che si oppone a regole pià rigide per Internet. Szoka suggerisce invece più regole per le reti mobili; anche questo sarebbe uno smacco per Verizon, visto che è il maggiore operatore mobile americano.
IN GIOCO IL FUTURO DI INTERNET
Le proposte sulla net neutrality della Fcc potrebbero cambiare il futuro di Internet se gli Internet service provider potranno far pagare società del web come Netflix e YouTube un extra per poter raggiungere i loro utenti a velocità più alte, pur se a condizioni che la Fcc valuterebbe di volta in volta con particolare attenzione. Ma date le critiche piovute, la Fcc potrebbe alla fine modificare di molto il set di regole proposte. Anche perché, nota la società di analisi Ovum, diversi punti della proposta non sono chiari. “La possibilità di creare ‘corsie veloci’ è netta, nonostante le norme disegnate dalla Fcc siano state ritoccate quasi subito”, ha scritto in una nota Matthew Howett, Practice Leader del gruppo Telecoms Regulation di Ovum. “Ma si tratta di capire che cosa intende la Fcc per condizioni ‘commercialmente ragionevoli’ alle quali si proporranno gli accordi di prioritization”.
Anche l’Europa del resto si trova con una normativa sulla net neutrality che si presta a più interpretazioni, secondo Ovum: l’Ue ammette l’esistenza di “servizi specializzati”, che possono godere delle corsie preferenziali a velocità garantita, ma senza chiarire esattamente quali servizi ricadano sotto questa definizione. “Dopo il voto della Fcc negli Usa, e il voto in Europa sul pacchetto telecom, le cose non potrebbero apparire più diverse sulle due sponde dell’Atlantico”, secondo Howett. “Le proposte sull’Open Internet dell’Europa, allo stato attuale, sono molto severe sul fatto che tutto il traffico vada trattato in modo uguale, al punto che così formulate potrebbero diventare inattuabili, mentre gli Usa si sono aperti con decisione alla possibilità di creare ‘corsie veloci’ con accordi tra gli Internet service provider e le società del web. Tuttavia le differenze non sono in realtà così grandi: entrambi i tentativi di legiferare su Internet lasciano aperta la porta alla creazione di traffico prioritario, basata sull’assunto che la corsia di base resterà non toccata (quindi non rallentata o addirittura bloccata) dalla creazione di corsie veloci”. Un assunto che, però, non è così scontato.