L’economia globale è tutto fuorché perfetta. Il Giappone, ad esempio, è entrato nella sua terza recessione dal 2008. L’Europa non riesce a sollevarsi dalla stagnazione. La Cina è in una fase matura del suo ciclo, forse senile.
Russia e Brasile sono in uno stato di conclamato malessere. L’America va bene, d’accordo, ma questo giustifica il rialzo della sua borsa, non quello di tutte, e anche il rialzo americano deve rispettare le leggi della fisica e restare con i piedi per terra.E invece non è così. Visto dai mercati, infatti, il mondo (quanto meno quello sviluppato) è tutto perfetto. La verità borsistica, come quella processuale, è una ricostruzione, non un rispecchiamento della realtà.
A livello micro, quando una società deve annunciare utili deludenti (o addirittura perdite) basta inserire nel comunicato l’annuncio di un vasto programma di riacquisto di azioni proprie per sedare il mercato. A livello macro, i dati economici deludenti vengono accompagnati puntualmente da misure monetarie o fiscali espansive via via più aggressive, eterodosse e arrischiate. Comunque la si metta, quindi, la borsa ha buone ragioni per essere soddisfatta.
Parte importante della perfezione del quadro è il fatto che i tempi di reazione da parte dei policy maker ai malesseri dell’economia e dei mercati sono collassati. Come un genitore che si presenta immediatamente con nuovi doni ogni volta che il piccolo dà segni di irrequietezza, Bullard della Fed ipotizza a metà ottobre un prolungamento del Quantitative easing non dopo un anno o sei mesi di ribassi di borsa, ma dopo otto giorni.
Il primo ministro Abe, dal canto suo, batte tutti in velocità e annuncia il rinvio sine die
dell’aumento dell’Iva esattamente lo stesso giorno il cui il Pil giapponese, previsto per il terzo trimestre in rialzo del 2.3 per cento, esce in realtà il flessione dell’1.6. Non è un caso che i ribassi di borsa siano sempre più brevi e i recuperi, di solito molto più lenti delle cadute, siano ormai altrettanto veloci.