La montagna ha partorito il solito topolino, ma un gioco di specchi finanziari gli fa assumere la taglia cinematografica di un King Kong.
Il Piano straordinario da 315 miliardi di euro di investimenti pubblici in tre anni (2015-2017) presentato ieri dal Presidente della Commissione europea Junker si fonda su un meccanismo a leva in cui le garanzie pubbliche dell’Unione e della Bei mobiliterebbero capitali privati pari a 15 volte l’importo messo a disposizione, appena 16 miliardi l’Ue e soli 5 miliardi la Bei, per un totale di 21 miliardi di euro.
Non basta, oltre allo specchio deformante c’è anche una lente di ingrandimento: l’Unione inizia con risorse ulteriormente ridotte del 50%, mettendo a garanzia del Piano appena 8 miliardi di euro rispetto ai 16 dichiarati. La copertura deriva infatti dalla riduzione di spese (-2 miliardi) e dal definanziamento dei programmi Connecting Europe Facility (-3,3) e Horizon 2020 (-2,7). La leva raddoppia, passando a 30 volte la garanzia apprestata.
I privati, bontà loro, metterebbero il resto, mobilitando un complesso di 315 miliardi di risorse, di cui 240 miliardi riguarderanno gli interventi a lungo termine garantiti dai 16 miliardi messi a disposizione dall’Unione europea e 75 miliardi quelli a favore delle piccole e medie imprese e delle Small cap, a loro volta garantiti dai 5 milardi messi sul tavolo dalla Bei.
In questo caso sembra che venga attivata una leva finanziaria di secondo grado: se già il capitale della Bei che viene sottoscritto dagli Stati serve per raccogliere un multiplo delle risorse così versate, sembra che i 5 miliardi della Bei siano risorse già raccolte sul mercato che vengano messe a garanzia per chiedere un ulteriore multiplo. D’altra parte, come viene esplicitato nella nota che compare nella presentazione del Piano, il mercato contribuirebbe con 307 miliardi di euro netti, ad investimenti complessivamente pari a 315 miliardi di euro: la leva arriva così a 43,8 volte. Gli unici fondi pubblici sarebbero solo gli 8 miliardi rintracciati dall’Unione europea nei suoi bilanci. Più che un piano finanziario prudente, sembra un castello di debiti.
Non è finita qui. Il Piano lievita ancora, come un soufflè. Nella presentazione si prevede infatti un ulteriore beneficio di 20 miliardi di euro derivante dall’utilizzo di strumenti finanziari innovativi nell’uso dei Fondi strutturali europei e di Fondi di investimento, seguendo le prorità nazionali e regionali (SME’s, trasporti, ricerca, tutela dell’ambiente): non andrebbero usati solo come stanziamenti da spendere, come si è fatto finora.
C’è poi un ulteriore, ma imprecisato, contributo agli investimenti che deriverebbe da un più elevato cofinanziamento nazionale da parte degli Stati destinatari dei Fondi europei già stanziati e non ancora spesi: per l’Italia è un no secco alla richiesta avanzata a suo tempo in tema di flessibilità delle regole del Fiscal Compact, visto che a luglio puntammo sull’esonero dal cofinanziamento nazionale o, in subordine, sul fatto che le spese per il cofinanziamento degli interventi comunitari fosse scomputato dal tetto al 3% congiunturale del deficit di bilancio.
La Commissione, invece, avverte gli Stati che in sede di verifica del rispetto del Patto di Stabilità e crescita considererà favorevolmente i contributi che saranno liberamente versati ad integrazione del capitale del Fondo e soprattutto li invita ad usare i Fondi europei ancora disponibili sulla programmazione del 2007 e del 2013, compiendo ogni sforzo al riguardo. Insomma, avremmo uno sconto sul computo del deficit, ma solo se mettiamo nuovamente mano al nostro portafoglio.
C’è il rischio, non infondato, che per l’Italia questo Programma di investimenti straordinari dell’Unione europea, per il quale il Governo avrebbe mandato progetti di intervento per 81 miliardi, si trasformi in una burla. E’ già accaduto con finanziamento dei Fondi salavastati: abbiamo già contribuito per 55,6 miliardi, versando 33,6 miliardi all’Efsf e sottoscrivendo 11,5 miliardi del capitale dell’ESM, dopo aver concesso oltre 10 miliardi di prestiti bilaterali alla Grecia. Degli impieghi dell’ESM sappiamo solo che lo Statuto impone di investire in titoli con la tripla A: è probabile che lo Stato italiano si sia indebitato a caro prezzo sul mercato per sottoscrivere la sua quota di capitale nell’ESM e che queste risorse vengano poi usate per sottoscrivere titoli tedeschi.
Il Ministro dell’economia Padoan vuole vederci chiaro, ed ha pienamente ragione: in serata ha precisato che “Il governo italiano non ha ancora esaminato l’ipotesi di conferire risorse al Fondo”. Meglio evitare di fare il bis.
Comunque, è un debutto davvero stracco per la Commissione Junker. Tante parole altisonanti, “Investimenti strategici di rilievo europeo nell’energia, trasporti, banda larga, istruzione, ricerca ed innovazione”, ma con la cassa desolatamente vuota. Bruxelles ha cambiato verso, finalmente non è più tanto diversa da Roma. Pubblicità.