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Perché il quantitative easing affascina tutti i continenti

I padri del Qe (da Milton Friedman al suo estimatore Bernanke) non fecero, inizialmente, una distinzione tra effetti primari e secondari. Anche Mantegazza, del resto, aveva pensato che la coca curasse direttamente le malattie, in particolare mentali. Che il Qe risollevasse solo gli spiriti animali depressi o intervenisse direttamente sull’economia reale non era considerato particolarmente importante. Friedman, del resto, pensava che ci fosse una relazione costante tra la base monetaria (il denaro creato dalla banca centrale) e l’offerta di moneta (il denaro creato dalle banche quando prestano alle imprese). Aumentando l’una sarebbe aumentata anche l’altra.

Quando nel novembre 2008 fu lanciato il primo Qe, la Fed sapeva perfettamente che la correlazione lineare era saltata da tempo, ma pensava che un collegamento, sia pure indebolito e difficile da calcolare a priori, fosse rimasto. Se poi non fosse rimasto nemmeno quello, il Qe avrebbe comunque gonfiato il valore di case, borse e bond, rimettendo in equilibrio il bilancio di molte famiglie che avevano un mutuo sulla casa che valeva ormai di più della casa stessa. La rifioritura degli asset finanziari e reali avrebbe a sua volta aumentato la propensione a consumare e a investire. Con il bonus aggiuntivo di un dollaro più debole.

L’esperimento, bisogna riconoscerlo, è almeno in parte riuscito. L’America cresce a una velocità di crociera del 3 per cento, la sua borsa è ai massimi, i suoi bond sono fortissimi. Il prezzo delle case è salito anche se le costruzioni si riprendono lentamente, franate dalla poca voglia delle banche di concedere mutui. L’effetto collaterale più temuto, l’inflazione, è di là da venire.

La correlazione causale tra Qe e rivalutazione degli asset è indubbia ed è ammessa anche dagli avversari della Fed. La correlazione tra Qe e ripresa è però molto più difficile da dimostrare. È vero, il Qe ha coinciso temporalmente con la riaccelerazione, ma lo stesso si può dire per altri fattori. Probabilmente il boom del petrolio e del gas, le cui proporzioni epiche diventano ogni mese più evidenti (si vedano le esaltanti cento pagine del rapporto annuale che Ed Morse di Citi, profeta e cantore della superpotenza energetica americana, ha appena pubblicato), spiega la ripresa più del Qe. Ai mercati finanziari, in ogni caso, importa relativamente che il Qe abbia o no effetti reali, basta che tenga i tassi bassi e fornisca la liquidità necessaria a sostenere i corsi. Se poi anche l’economia va bene, tanto meglio.

Richard Koo non condivide l’entusiasmo dei mercati. Attenzione, dice, il Qe crea solo bolle temporanee. La base monetaria esplode, ma l’offerta di moneta rimane immobile. Da una parte le banche non hanno voglia di prestare soldi, dall’altra le aziende e le famiglie non hanno voglia di farseli prestare. E se poi un giorno, improvvisamente, questa voglia ritornasse, la Fed non farebbe in tempo a prosciugare tutta la liquidità che ha creato nemmeno con le idrovore. I tassi esploderebbero e le borse e i bond imploderebbero.

Le analisi di Koo sono sempre affascinanti e la sua tesi sull’impotenza della politica monetaria in tempi di trappola della liquidità (e sulla necessità di un intervento fiscale in sua vece) merita attenzione. Non si può non notare, tuttavia, che lo stesso Koo, in sintonia con le tesi di Robert Fisher, sostiene che possono passare decenni prima che gli spiriti animali feriti da una crisi da debito (come negli anni Trenta e dopo il 2008) si riprendano e ritornino vitali. L’esplosione dell’offerta di moneta, quindi, si profila lontanissima.

La nostra conclusione, molto pratica, è che la distribuzione e il consumo del vino Mariani del Qe, benché temporaneamente sospesa negli Stati Uniti, continuerà inalterata a livello globale per alcuni anni. L’esaurimento delle risorse inutilizzate negli Stati Uniti (che distano 12-18 mesi dal pieno impiego) provocherà un inizio di inflazione salariale (e una certa volatilità sui mercati), ma l’inflazione sarà riassorbita da una rivalutazione ulteriore del dollaro.

Estratto dalla newsletter Il Rosso e il Nero



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