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Perché il web libero non è il vero problema negli Stati Uniti

Mentre il Presidente degli Stati Uniti Barack Obama si schiera a favore della net neutrality e scatena le proteste delle telco, per qualche osservatore americano tutta la questione della neutralità della rete è mal posta. E non si tratta di perdersi nell’annosa domanda se esiste o no la net neutrality, bensì se sono soddisfacenti o meno i servizi offerti dagli Isp americani.

USA INDIETRO NEL BROADBAND

La risposta per i consumatori americani è già chiara. Comcast – il principale Internet provider – è stata definita la “peggiore azienda in America” nel report 2014 di Consumerist: è all’ultimo posto dell’American Consumer Satisfaction Index perché ha prestazioni al di sotto di tutta l’industria del cavo, con i suoi “prezzi alti, scarsa affidabilità e customer service sempre più scadenti”.

At&t è così poco competitiva che può mettere in stand-by il suo progetto di portare la fibra in 100 città americane, come ha fatto questa settimana, senza sentire su di sé la pressione dei rivali (anche se la Fcc ha immediatamente chiesto spiegazioni, inclusi i dettagli sulle case da raggiungere e sul modello di business).

La Fcc ha regolato Internet per dieci anni con un approccio light proprio nel tentativo di dare ai consumatori servizi migliori, ma rispetto a Paesi come Giappone, Corea del Sud, Olanda o Norvegia, gli Stati Uniti hanno prezzi più alti e molta meno banda. “Il vero problema di Internet negli Stati Uniti è la mancanza di concorrenza tra service provider, ma nessuno ne parla”, sostiene la rivista Wired.

Secondo l’ultimo Broadband development Index di Ovum, l’Indice di sviluppo della banda larga che misura il tasso di adozione dei servizi broadband di base e ultra-veloci in 191 Paesi, i Paesi avanzati dell’Asia sono primi al mondo in termini di adozione della banda larga fissa e mobile e continueranno ad essere leader almeno per i prossimi cinque anni. La Corea del Sud è prima, seguita da Singapore, Hong Kong e Giappone. Gli Usa sono solo ottavi, dietro agli Emirati Arabi Uniti e prima del Canada, che è nono. La Norvegia è l’unico Paese europeo nella Top ten. Nel 2019 la classifica di Ovum vedrà ancora i Paesi asiatici ai vertici, con qualche new entry europea nelle altre posizioni e l’uscita degli Stati Uniti.

PIU’ CONCORRENZA

“Se vivete a Singapore, potete avere connessione a Internet a 1 Gbps per soli 40 dollari al mese; con la stessa cifra negli Usa al massimo vi collegate a 10 Mbps. Dov’è la differenza? Nella concorrenza. Lì c’è, negli Usa no. E colossi telecom come Comcast, Verizon e At&t vogliono mantenere lo status quo”, si legge in un intervento di Cio.com. “In molti mercati Usa ci sono solo uno o due grandi fornitori di banda larga, mentre a Singapore, una città Stato con 5,4 milioni di abitanti, competono tre provider”.

Gli Usa sono 25esimi nella classifica globale di NetIndex per la velocità media della connessione Internet (29 Mbps), dietro Paesi come Moldavia, Lettonia e Estonia, e tre volte più lenti del leader globale Hong Kong. Gli Usa sono indietro anche nel report annuale della Broadband Commission dell’Onu, sempre in termini di velocità di connessione e prezzi.

IL REGOLATORE NON DOVREBBE INTERVENIRE

Altro tema che si annida dentro il dibattito sulla net neutrality è quello dell’innovazione. Le telco sostengono che riclassificando Internet come servizio pubblico si uccide la possibilità di investire e innovare; i paladini della net neutrality e le Internet companies dicono a loro volta che ammettendo le “corsie preferenziali” sul web si danneggia l’innovazione perché si favoriscono le grandi aziende che possono pagare lasciando indietro le start-up.

Secondo un’analisi di Bloomberg, c’è confusione sul concetto di innovazione. L’innovazione con la i maiuscola è come quella creata dalla start-up europea Skype con il lancio del servizio VoIp nel 2003. Due anni dopo l’Economist scriveva: “La questione non è più se il VoIp cancellerà la telefonia tradizionale, ma quanto velocemente lo farà. La telefonia diventerà prima o poi un servizio gratuito all’interno di un pacchetto di servizi e un incentivo a comprarne altri, come la banda larga o la pay-Tv. Il VoIp sta rivoluzionando l’industria delle telecomunicazioni”.

Secondo Bloomberg il successo di Skype è stato decretato non dall’intervento del governo a suo favore, ma dalla capacità di Skype di accordarsi con le telco, per esempio Verizon. Col tempo altri fornitori hanno cominciato a offrire il VoIp mentre le telco hanno spostato il traffico voce verso le connessioni dati. Così, sia la start-up “rivoluzionaria” che gli incumbent sono riusciti a innovare e a beneficiare il consumatore, perché il regolatore ha “lasciato fare” e non è intervenuto né per proteggere gli investimenti delle telco né per aiutare i consumatori a pagare meno. Bloomberg suggerisce dunque al governo di non occuparsi di Internet e lasciare che le start-up sorgano e innovino e che gli incumbent si adeguino.

L’EUROPA VERSO UN BRACCIO DI FERRO ALL’AMERICANA

L’Europa segue con attenzione il dibattito americano perché anche nel Vecchio Continente la neutralità della rete è al centro degli interessi dei regolatori e dell’industria. Qualche mese fa ha fatto molto discutere il pacchetto telecom di Neelie Kroes che ammetteva la possibilità di stabilire accordi per un trattamento privilegiato per alcuni contenuti, una possibilità poi parzialmente abolita per la pressione del Parlamento europeo che vuole garantire tutele maggiori alla net neutrality, con conseguente levata di scudi delle telco e note critiche di diversi analisti, come Strand Consult.

Il nuovo commissario europeo Günther Oettinger sembra voler adottare una linea molto fedele ai principi della net neutrality, in piena sintonia con l’intransigenza del Parlamento europeo. Spegnendo le speranze delle telco, che caldeggiano un approccio più flessibile rispetto alle norme assai stringenti votate da Strasburgo ad aprile, Oettinger ha recentemente detto che “La net neutrality è di comune interesse per tutti. Per la pubblica utilità – in casi di emergenza – delle esenzioni al principio sono possibili, ma non per l’industria”. Il messaggio è chiaro: niente accordi tra operatori telecom e Ott (come Netflix) per offrire servizi di qualità migliore. Non è escluso un braccio di ferro con le telco anche in Europa.



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