Mentre l’attenzione generale è concentrata sulle possibili, probabili e prossime dimissioni del Presidente della Repubblica – descritto oggi dal Financial Times come un gigante in mezzo a tanti nani del panorama politico italiano – e su una bozza di legge elettorale che rischia, con le sue innumerevoli modifiche e accordicchi di maggioranza, di cambiare tutto per non cambiare niente, ovvero di mantenere la principale caratteristica di questo Paese che è la sua ingovernabilità e consolidare la media della vita dei vari esecutivi repubblicani – 11 mesi – sono colpito da due notizie, due.
La prima riguarda le titubanze (chiamiamole così per carità di Patria) espresse dall’Europa sulla legge di stabilità presentata dal governo del goliardico Presidente del Consiglio. Pare che all’appello manchino 14 miliardi, dicesi 14 miliardi di euro, mica bruscolini. All’orizzonte, oltre alle nuvole, si intravedono ancor più nere le clausole di salvaguardia.
La seconda è relativa alla riforma del Catasto che, stando alle prime dichiarazioni di Assoedilizia, si configura come una vera e propria futura patrimoniale, un altro salasso per i cittadini italiani. Un inciso, senza voler apparire gufo o peggio qualunquista, viene da pensare anche alla seconda rata della Tasi in scadenza il 16 dicembre prossimo, proprio in pieno periodo di acquisti natalizi che i commercianti, alle prese con consumi da anni scesi in cantina aspettano come manna dal cielo. Chissà, forse il signor Tafazzi che ha stabilito ‘sti termini confidava nel benefico effetto dei famosi o meglio famigerati 80 euro… Mah.
E come non pensare alle perplessità – sarebbe meglio dire scetticismo ma passerei definitivamente nella categoria gufo – che ho sentito emergere in occasione di un incontro la scorsa settimana a Londra nella sede di una banca d’affari dove a colazione si conversava tra le altre cose in merito alle previsioni di crescita economica dell’Eurozona e in particolare dell’Italia per i prossimi quattro anni. Le percentuali, quelle italiane peraltro asserite dal governo medesimo e non dalle opposizioni piumate, appaiono del tutto irrilevanti rispetto alle esigenze e soprattutto agli impegni e vincoli europei precedentemente presi.
Quindi, viene da chiedersi come potrà Matteo Renzi – che rimane comunque l’unico leader al momento in grado di catalizzare un consenso tale da poter ambire a formare un esecutivo che possa davvero decidere ed agire – cambiare verso ai numeri? Dandogli ancora credito, ammettiamo pure che abbia le idee chiare, la determinazione che gli è caratteristica, la spregiudicatezza e, perché no, anche la fortuna dalla sua: basterà? E qui nasce un conflitto tra la fiducia e la ragione. La prima vorrebbe rispondere sì senza se e senza ma. La seconda ti sbatte in faccia la realtà dell’attuale panorama parlamentare, con una maggioranza di mezzetacche schizofreniche che non potrà portare ad altro che a mezze misure, interventi di piccolo cabotaggio mascherati dall’abilità e dall’affabulante talento narrativo del premier.
C’è da sperare quindi che il Cavaliere gli dia una mano, se non altro la visione ed il carisma comuni, le affinità personali ed il consenso che sarebbero in grado di ottenere, potrebbero contribuire a realizzare una maggioranza senza i limiti d’azione e i lacciuoli dei piccoli interessi personali, i veti incrociati di coalizioni evanescenti e la nullità istituzionale di un terzo dell’attuale parlamento. Risolutivo? Forse no, innumerevoli sono le variabili geo politiche ed economiche, ma certamente un punto di partenza più solido, un ambiente più salubre per il Paese rispetto all’attuale clima paludoso e malsano di una legislatura da dimenticare al più presto.