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Terremoti e alluvioni, parliamo senza isterismi di polizze assicurative?

Ci sono due eventi nella storia che hanno permesso di sviluppare l’elemento centrale delle polizze di assicurazione con cui nel corso dei secoli si è difesa la collettività dal rischio di catastrofi naturali.

La prima è il grande incendio di Londra del 1666 che devastò la città distruggendo 87 chiese tra cui St. Paul’s e oltre 10.000 case, la seconda più o meno nello stesso periodo è la creazione nella taverna di Edward Lloyd di un vero mercato delle coperture assicurative in cui gli intermediari si ritrovavano per suddividersi il rischio connesso all’affondamento delle navi con conseguente perdita del loro carico. Ancora oggi nella sede londinese dei Lloyd’s risuonano in particolari occasioni i rintocchi della campana che annunciava l’affondamento di una nave assicurata con un rintocco o il ritrovamento con due di una nave ormai data per dispersa.

Cosa c’entra questa simpatica storia con la proposta del governo di rendere obbligatoria, secondo le parole del sottosegretario Graziano Delrio – anche se non ci sono certezze ancora – la polizza per soggetti pubblici e privati contro le calamità naturali? A parte i quattro secoli di ritardo, standard nel bel-paese, molto perché alla base di un mercato assicurativo devono sussistere elementi di concorrenza che possano creare su base volontaria la necessaria mutualizzazione del rischio tra soggetti diversi.

Il concetto che “nessun pasto è gratis” e che ciascuno di noi debba iniziare a valutare in profondità i rischi a cui è esposto ed iniziare a strutturare delle risposte adeguate è qualcosa che difficilmente riesce a fare breccia nel nostro paese dove la famiglia o lo Stato hanno costituito da sempre un alibi per i singoli in caso di difficoltà. Dalla salute all’impiego passando per i propri beni si ripone sempre la speranza che comunque alla fine “qualcuno” interverrà ad aiutarci. Quel qualcuno è ovviamente lo Stato con la fiscalità generale che continua a drenare una parte rilevante del prodotto nazionale giustificando la propria voracità proprio con la scusa che debba seguire, con una burocrazia ipertrofica, tutti noi cittadini dalla culla alla tomba.

In sostanza un popolo di formiche nel risparmio personale (su cui lo Stato si è recentemente avventato aumentando le tasse su abitazioni e risparmi) ed una collettività di cicale quando si tratta di affrontare le eventuali disgrazie che possono accadere nel corso della nostra esistenza. Non sarebbe quindi meglio auspicare uno Stato meno esoso demandando quanto possibile al settore privato a cominciare dalla tutela dei propri interessi?

L’Italia in Europa è tra i Paesi meno assicurati con un mercato danni, quindi depurato della componente di risparmio del vita, di circa 34 miliardi di cui più di 16 rappresentati dalla sola Responsabilità civile auto che come tutti sanno è obbligatoria per legge e quindi percepita dai cittadini come una tassa e non come strumento di tutela dei singoli e della collettività. L’obbligatorietà è a mio parere come il doping per le compagnie di assicurazioni in quanto permette loro di fare una importante raccolta premi senza sforzi e senza doversi impegnare a creare una cultura del rischio e della necessità per tutti di tutelarsi da eventi straordinari. Quindi come per gli atleti dopati si punta al solo risultato senza contare tutti gli effetti collaterali negativi.

Infatti sono proprio la consuetudine dell’intervento ex post dello Stato e l’introduzione di meccanismi di obbligatorietà come per la Rca ad essere alla fine i veri ostacoli alla crescita di un settore indispensabile nell’economia di un Paese come quello delle assicurazioni private. I cinque punti di ritardo tra noi ed il Regno Unito nella penetrazione delle assicurazioni sul PIL si giustificano anche da una diverso approccio collettivo al rischio prima e all’intervento dello Stato poi.

Ed è per questo motivo, come già esposto in un mio precedente articolo su questo giornale, che continuo a propendere per un sistema in cui il prezzo sia proporzionale al rischio ma con l’introduzione di incentivi laddove gli enti locali si siano impegnati ad adottare misure di prevenzione considerate come minime come avviene negli Stati Uniti con il National Flood Insurance Program. Enti Locali che qualora inadempienti verrebbero sanzionati dal mercato con prezzi più alti e si spera poi dai cittadini nelle urne.

Quindi ben venga l’interesse del governo per l’argomento ma con la speranza che non si trasformi questa opportunità in un ennesimo balzello per i cittadini senza che questo comporti una contemporanea riduzione della spesa pubblica ormai fuori controllo nel nostro Paese.

Per concludere in sintesi l’obbligatorietà è da sudditi mentre il processo di acquisto volontario è da cittadini responsabili.

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