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Quale futuro per reti e professionisti nel sistema bancario italiano?

Sede-BCE

“La vita non è aspettare che passi la tempesta ma imparare a ballare sotto la pioggia”

Gandhi

E’ una fase di grande confusione quella attuale. Una fase in cui le prospettive delle banche italiane sono condizionate, oltre che dalla mancata o scarsa crescita del PIL, dal costo del rischio di credito, dal relativo costo della provvista di fondi, dai costi delle nuove regole di Basilea 3 e dalle conseguenti logiche di vigilanza della BCE.

Se da un lato, infatti, il prezzo della liquidità a brevissimo tende a stabilizzarsi in basso con la massa di capitale (soprattutto depositi in conto corrente) disponibili a costo minimo, dall’altro la provvista di mercato (obbligazionario e interbancario) incorpora una componente di premio al rischio che riflette il rischio Paese e risente della selettività dell’offerta. A tutto ciò va aggiunto il costo della regolamentazione laddove, anche limitandosi solo a Basilea 3, i maggiori oneri connessi alla ridefinizione dei ratios patrimoniali comprimeranno ulteriormente il ROE del nostro sistema bancario.

In ogni caso, al di là delle misure non convenzionali della BCE, è chiaro che la crescita dell’offerta di credito sarà vincolata anche dalla capacità di funding delle banche sul mercato retail. E questo aspetto rafforza il tema critico della razionalizzazione del sistema distributivo e della capacità di sviluppare e presidiare relazioni di clientela stabili. La domanda fondamentale è: ci sono spazi di razionalizzazione per le reti sia in termini di costi, sia in termini di efficacia di posizionamento?      .

La risposta è semplice e complessa allo stesso tempo. Non c’è dubbio infatti che la  prima evidenza che emerge, nell’analisi del sistema distributivo bancario del nostro Paese, è il cosiddetto “overbanking”: la capillarità della rete italiana (misurata in numero di sportelli per milione di abitanti), considerando sia le banche che Poste, è molto alta in termini di volumi e costi rispetto al conto economico. E’ per questo che lo scenario delle reti è in fase di profondo cambiamento. I fattori in gioco sono sia di tipo strettamente economico (il costo praticamente insostenibile delle strutture attuali) ma anche relative ai comportamenti e alle preferenze della clientela. Cosa fare allora?

In uno scenario a 3 anni è giustificato attendersi che lo sviluppo della multicanalità comporterà un ulteriore, drastico ridimensionamento del ruolo delle reti fisiche di sportelli. Il progressivo inserimento sul mercato dei “nativi digitali” trasferirà gran parte delle attività retail sui canali tecnologici. Questo significherà che, anche per i prodotti a più alto contenuto di consulenza come titoli, fondi e Sicav, l’abbattimento di costo generato dalla digitalità farà aggio sul momento della consulenza “one-to-one”, in particolare nel settore del mass market (fino a 30-50mila euro). E questo accadrà molto velocemente anche per il nostro sistema bancario costringendo tutti a ripensare il ruolo dello sportello tradizionale in termini di risorse (con nuovi importanti esuberi), servizi offerti, geo-localizzazione sul territorio.

E’ per questo che non è necessario andare tanto lontano per capire l’evoluzione futura delle dinamiche distributive delle reti bancarie: come ci raccontano le vicende del turismo on-line piuttosto che i marketplace virtuali dei prodotti di tecnologia, i comportamenti di acquisto di prodotti e servizi non complessi si orienteranno verso prezzi competitivi da “spuntare” sui canali digitali. E questo accadrà molto velocemente anche per il nostro sistema bancario, trasformando le filiali da luoghi di transazione a luoghi di relazione.

Ma la domanda successiva è la seguente: per quale motivo, dopo aver riposizionato la clientela sui canali digitali, tale processo dovrebbe essere sviluppato in una filiale tradizionale e non attraverso una rete di consulenza a costi variabili? La consulenza finanziaria si sta evolvendo sempre di più con una sempre più massiccia presenza su social network come Twitter, Facebook, LinkedIn, GooglePlus. Stiamo entrando nell’era della finanza 2.0 ed è necessario progettare il futuro evolutivo cercando di capire che la stella polare della nostra evoluzione non potrà che essere il cliente con le suoi processi comportamentali e le sue logiche d’acquisto. Un cliente sempre più diverso da quello su cui sono state progettate le nostre strutture bancarie e commerciali. Proviamo a vedere perché.

Sappiamo bene ad esempio che, a partire dal boom economico, l’Italia ha avuto una fortissima propensione al risparmio con logiche di investimento prevalentemente focalizzate su titoli di stato ed immobili. Solo verso la fine degli anni ‘80, una parte degli italiani (non più del 5% circa) cominciarono a chiedere consulenza e ad informarsi tramite giornali specializzati. Negli anni ‘90, con la nascita del risparmio gestito, si ebbe un buon incremento della propensione all’acquisto di azioni ma soprattutto esplose il fenomeno Internet con fini meramente informativi. E’ invece durante il primo decennio di questo secolo che nasce poi il fenomeno dei social network con effetti sempre più dirompenti soprattutto per quanto riguarda la consulenza. Infatti:

1)     I risparmiatori si informano sempre più sui social media; che sia Facebook, o i siti web di istituti bancari, giornalisti, trader privati o gruppi tematici su Twitter, si seguono giornalisti finanziari, altri trader o anche semplici investitori “evoluti. Su questi canali non solo la diffusione delle notizie è immediata ma, spesso, le news sono condivise ancor prima che lo facciano le agenzie di stampa. E c’è di più: la novità più importante è che le notizie non sono apprese “passivamente” ma sono commentate da tutti. In tal modo, gli investitori generano un “consensus” sulla notizia stessa. E’ l’inizio dell’era del crowdrating.

2)     L’altra grande novità è che, come conseguenza della crescente richiesta di advisory, nascono i soggetti di consulenza finanziaria Indipendente. Tali professionisti si presentano come alternativi al modello di consulenza fornito dalle banche sulla base dell’indipendenza della consulenza stessa e sviluppano servizi prevalentemente on-line ed utilizzano i social network per farsi conoscere.

3)     Un ulteriore canale evolutivo è la crescita di piattaforme di trading che a loro volta mettono a disposizione un proprio social network. I trader condividono le performance, lo stile di gestione, tecniche e portafoglio e cosi come su Facebook e Twitter, sono giudicati e seguiti dagli altri membri del social network. Ecco come il crowdrating diventa una fonte di informazione diffusa e seguita.

4)     La consulenza di derivazione bancaria si orienta progressivamente verso una value proposition che cerca una potenziale fonte di nuovi ricavi nella consulenza più evoluta costruendo l processo d advisory su competenze e relazioni di lungo periodo tipiche del sistema bancario tradizionale.

5)     Il modello fee-only si diffonde anche attraverso i processi di sensibilizzazione e di educazione finanziaria della clientela. Quando l’investitore capisce che l’advisory la paga comunque perché  è quasi sempre “embedded” nel costo dei prodotti, si crea una relazione che porta alla fidelizzazione verso i consulenti “all-in”, banche o professionisti che siano.

6)     Competenze per competere: è chiaro che, in questo contesto, la sfida si giocherà sul tema delle competenze. Soprattutto per le banche generaliste saranno necessari investimenti sulle risorse umane per colmare il gap di competenze specialistiche. Competenze che, per essere veramente competitive, non dovranno più essere solamente legate all’ambito finanziario ma dovranno necessariamente integrare elementi di ottimizzazione patrimoniale complessiva non solo nel private banking ma anche nel segmento affluent.

7)     Last but non least, la riprogettazione complessiva del modello distributivo bancario è l’innovazione che potrà imprimere un profondo cambiamento al settore. Nell’ipotesi di una revisione della contrattualistica di lavoro dipendente per il front-line commerciale delle banche, assisteremo ad una crescita ulteriore della competitività nel segmento che avrà due (classiche) conseguenze: l’aumento della qualità dei servizi ed una forte discesa dei prezzi. Infatti, se è pur vero che le banche legheranno una parte della retribuzione del personale di front-line alla produttività commerciale, è anche vero che tale evoluzione darà sempre più luogo ad una guerra dei prezzi basata sul mero incremento dei volumi. In questo ambito, anche in considerazione della dipendenza (diretta o indiretta) delle fabbriche-prodotto rispetto alla distribuzione del canale bancario, vale la pena di sottolineare quale elemento di novità rispetto al passato, che l’introduzione dei nuovi requisiti patrimoniali di Basilea 3 induce anche la rifocalizzazione dei processi commerciali delle banche interessate verso prodotti di raccolta diretta.

In questo contesto, il mercato si segmenta progressivamente su modelli di business differenti che vedono la compresenza di modelli chiusi (basati sull’accordo di collocamento tra produttore e distributore), modelli aperti (basati sul ricorso a piattaforme tipicamente on-line di pura negoziazione che vengono contattate direttamente dalla clientela) e modelli basati sul ricorso da parte della clientela a servizi di pura negoziazione congiunti a servizi “all-in” di consulenza fee only.

Un mercato veramente complesso in cui, probabilmente, non ci sarà un unico sistema vincente anche perché, nell’ambito di questi approcci commerciali, troveranno progressivamente spazio, oltre ai collocatori tradizionali ed agli operatori di brokeraggio, anche i consulenti indipendenti fee-only (soprattutto se si organizzeranno a network) e gli intermediari integrati, ovvero quegli operatori che offrono, disgiuntamente dal servizio di advisory, il servizio di execution, anche in logica multicanale, permettendo al cliente di interfacciarsi con un unico soggetto per tutte le operazioni.

In sintesi, queste caratteristiche: mercato complesso, clienti in evoluzione, player con dimensioni ed approcci profondamente differenziati. In questo scenario di scarse certezze, l’unico punto fermo da sottolineare è quello per cui una value proposition commerciale governata solo da obiettivi di budget e non di wealth risk management rischia di esporre a rischi reputazionali pericolosi e importanti.

E’ per questo che, al di là di tutte le ipotesi, per vincere la sfida, conterà soprattutto avere professionisti di alto livello con sistemi di relazioni territoriali e professionali consolidati e significativi, e con la capacità di servire al meglio il cliente, che rimane il vero valore aggiunto dei processi competitivi del prossimo futuro.



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