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Quanto durerà la legislatura?

La vita politica italiana pare tornata indietro di vent’anni, quando una larga maggioranza, eletta con sistema maggioritario, implose per l’iniziativa disaggregativa della Lega, supponente e convinta di potersi liberare dell’appena nata Forza Italia di Berlusconi col determinante concorso dell’allora capo dello Stato Oscar Luigi Scalfaro: un impiccione che condusse all’esasperazione il presidenzialismo italiano, dettando le nuove regole della democrazia su coordinate moraliste, giustizialiste, irrispettose della volontà popolare.

Nelle settimane che precedettero l’editto del Corriere della Sera, consegnato l’indomani al premier mentre presiedeva a Napoli un congresso internazionale sulla criminalità organizzata, buona parte degli osservatori sembrava avvertisse che la legislatura, avviata da pochi mesi, non poteva procedere oltre, se non si fosse prontamente trasformata in legislatura costituente: col fine precipuo di adeguare la carta del ’48 alla logica maggioritaria. Stava di fatto che occorreva modificare tutto: dal rapporto governo-parlamento al ruolo del capo dello Stato, ai rapporti fra esecutivo e giudiziario. Scriveva in proposito Angelo Panebianco (Corriere della Sera, 26 novembre 1994): “La pretesa di mantenere inalterati funzioni, poteri e rapporti reciproci di tutte queste istituzioni nel passaggio da una democrazia consensuale-spartitoria a una democrazia maggioritaria è una pretesa assurda e che può portarci solo alla catastrofe”.

Sono trascorsi giusto vent’anni da quelle pulsioni, che non erano espressione soltanto di maggiore sensibilità politologica, ma frutto di una politica malsana che si aggiungeva al fallimento (e persino al rifiuto popolare) del proporzionalismo, e l’Italia odierna sembra aver invertito rotta e tornata ai tempi in cui un partito di minoranza condizionava la maggioranza sovvertendone gli indirizzi e i progetti esecutivi. Ieri sotto tiro fu il centro-destra moderato organizzato da Berlusconi e fucilato da Bossi. Oggi Renzi si protesta oggetto di un “complotto” che parte da sinistra, anche se non trova alcuna copertura nel Quirinale.

Oggi i partiti sono addirittura più numerosi che nel 1994. Il che significa che non erano le preferenze e il proporzionale a germinare un sistema destinato alla catastrofe. Il guaio è che, l’avere ostinatamente impedito una riforma seria e organica della carta costituzionale, è servito a premiare tutto il peggio del vecchio e non si è caratterizzato il nuovo con le migliori strumentazioni possibili e dando senso compiuto alla democrazia dell’alternanza. Questa, dunque, non è soltanto espressione di una democrazia maggioritaria, bensì il prodotto rispettoso del pluralismo sociale nazionale in continua mutazione.

Invece, il pluralismo sociale e, soprattutto, politico, viene inteso esclusivamente in funzione della conservazione delle vecchie e decrepite corporazioni; e come occasione per rispolverare antiche posizioni di potere, aumentando a dismisura le ambizioni personali e a rendere sempre più improbabili salutari aggregazioni. Il bipolarismo del 1994 venne soffocato sul nascere da un presidenzialismo pestifero, finendo con l’esaltare il vertice formale dello Stato e di fatto autorizzandolo a derogare dai suoi compiti costituzionali, mentre il parlamento del 2013 si è trasformato in una arena di gladiatori che agiscono per difendere il proprio personale ruolo, non per ergersi a legislatori innovativi. La democrazia maggioritaria ha subito una mutazione genetica trasformandosi in quadripolismo. Continua ad essere disattesa la funzione costituente che, sola ormai, può giustificare la sopravvivenza di una legislatura che s’arresta dinanzi anche all’ostacolo più blando e marginale.

Per ora Napolitano mantiene fermo il suo punto-guida: non si presta a sciogliere le camere anche se producono poco e male. Ma Renzi, consapevole d’essere oggetto di una offensiva contraria e che ricorda il ribellismo sindacale dei primi anni Cinquanta, non è tipo da farsi logorare né a fuoco lento né dai disordini di piazza e, quindi, decidere di porre fine alla gazzarra di una sinistra che non saprà mai essere socialdemocratica.

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