Le Agenzie per il lavoro dicono sì al Jobs Act di Matteo Renzi, perché rende il mercato italiano del lavoro veramente più flessibile, combatte la piaga del lavoro “nero” e viene incontro alle esigenze di un’economia in rapida evoluzione, dove le sfide sono la produttività e la competitività su scala globale.
LE DICHIARAZIONI DELL’ESPERTA DI RANDSTAD
Lo ha detto Annemarie Muntz, Director Group Public Affairs Randstad e presidente di Ciett, la confederazione internazionale delle Agenzie per il Lavoro, e di Eurociett, la confederazione europea delle Agenzie per il Lavoro, al convegno “Jobs Act e Flexicurity: le sfide del mercato del lavoro europeo e italiano”. “Il mercato del lavoro è cambiato”, ha sottolineato la Muntz; “alcune figure professionali spariscono ma ne nascono di nuove, tanto che si è creato un problema di skill shortage in alcuni settori; i lavoratori chiedono di conciliare meglio vita professionale e privata, hanno bisogno di protezioni se perdono il lavoro ma soprattutto di formazione continua e strumenti per ricollocarsi sul mercato del lavoro, muovendosi fluidamente. La legge sul lavoro deve cambiare con l’economia e il mercato: solo così l’Italia può affrontare problemi come l’altissimo tasso di disoccupazione giovanile, che tocca il 40%”.
Secondo l’esperta della multinazionale olandese attiva nella ricerca, selezione, formazione di Risorse Umane e somministrazione di lavoro, il Jobs Act va nella direzione giusta dell’introduzione di una maggiore flessibilità nel mercato del lavoro italiano, assicurando al tempo stesso le necessarie tutele ai lavoratori (la cosiddetta flexicurity). Occorre tuttavia agire subito su questi fronti: maggiore cooperazione tra operatori pubblici e privati per l’inserimento nel mercato del lavoro di soggetti altrimenti esclusi, riduzione delle tipologie contrattuali flessibili per valorizzare quelle “di qualità”, e sviluppo di adeguate politiche attive per i lavoratori.
“E’ necessario operare attraverso una semplificazione normativa: ridurre le tante tipologie contrattuali flessibili può abbattere la precarietà in favore delle forme di flessibilità non solo più sicura nei confronti dei lavoratori ma anche di qualità”, ha ribadito ha ribadito Rossella Fasola, Public Affairs Manager di Randstad Italia.
LA RICERCA RANDSTAD SUL LAVORO NERO
Annemarie Muntz ha presentato anche “Flexibility@work 2014”, la ricerca annuale realizzata da Randstad sulle tendenze internazionali sul lavoro flessibile e l’occupazione, dedicata in questa edizione alla lotta al lavoro nero. Lo studio dimostra come il lavoro flessibile adeguatamente regolamentato sia uno strumento di lotta all’economia sommersa. E i Paesi dove il lavoro nero è meno sviluppato sono i più competitivi sul fronte economico. In questi Paesi (Svizzera, Austria, Lussemburgo, Olanda, Francia e Uk sono quelli con i tassi inferiori di lavoro nero) da un lato è più facile per le imprese ricorrere alle opportunità di lavoro flessibile per soddisfare le proprie esigenze, dall’altro si ritrovano le politiche attive più efficaci per garantire l’occupabilità dei lavoratori. L’Italia invece è uno dei Paesi in cui il mercato del lavoro è più fortemente regolamentato e dove però la dimensione del lavoro nero raggiunge una delle quote più alta, pari al 21,1% del Pil (la superano solo i Paesi dell’Est europeo).
“E’ interessante notare che dalla nostra ricerca emerge che la prima causa del lavoro nero non è il carico fiscale”, ha sottolineato la Muntz, “ma le troppe regole e l’inefficienza del mercato del lavoro”. Secondo Randstad, il Jobs Act va ad agire proprio su questo punto. “Il posto fisso non esiste più”, ha ammonito la Muntz, “ma questo non vuol dire che i lavori offerti tramite le Agenzie per il lavoro – o in generale i lavori su un mercato dinamico di nuova concezione – non siano di qualità. Lavoro di qualità è quello che offre formazione, paga dignitosa, continuità, possibilità di carriera, protezioni sociali, rappresentanza sindacale, anche se è un lavoro che non dura tutta la vita. Avere regole rigide non fa che aiutare il sommerso”.
LE REAZIONI DEGLI ATTORI DEL MERCATO SU FLEXICURITY E JOBS ACT
La presentazione della Muntz è stata seguita da un vivace dibattito su politiche per il lavoro e Jobs Act. Per Michele Tiraboschi, Professore dell’Università di Modena e Reggio Emilia e Coordinatore di Adapt, è vero che le troppe regole impediscono al sommerso di emergere. Ma ridurre le forme contrattuali può servire fino a un certo punto: “Il mercato del lavoro è ‘plurale’, la flessibilità assume mille forme, non si può cristallizzare”.
Secondo Claudio Treves, Segretario Generale Cgil NidiL, non va trascurato il tipico dualismo italiano tra Nord e Sud, perché se in Calabria il sommerso attiva al 30% del Pil, nella Provincia autonoma di Bolzano supera di poco il 3%. “Le leggi sul lavoro hanno finora fallito perché hanno tentato di dare ricette nazionali senza tenere conto delle differenze”, ha detto Treves. “In Italia abbiamo un tasso di occupazione del 55% contro una media Ue del 63-64%, ma oscilliamo tra un 70% del Nord Italia e un 30% del Sud. Questo vuol dire che le politiche per il lavoro non possono prescindere dalle politiche per lo sviluppo”.
Gianni Bocchieri, Direttore Generale istruzione, formazione e lavoro di Regione Lombardia, ha ribadito il giudizio negativo su una legge che impone dall’alto un modello valido per tutta l’Italia, col rischio “di rallentare il cammino delle regioni più progredite”. Resta il fatto che l’Italia investe troppo poco in politiche attive per il lavoro: siamo nell’ordine dei 500 milioni di euro l’anno, contro i diversi miliardi dei nostri Paesi vicini.
“Per noi il primo cambiamento da fare è il passaggio dalle politiche passive a quelle attive per il lavoro”, ha sottolineato Pierangelo Albini, Direttore area Lavoro e Welfare Confindustria. “Nel nostro sistema alcuni lavoratori sono iper-protetti mentre altri non lo sono per niente. Occorre investire di più nei lavoratori che adottano la flessibilità: l’Italia spende 24,5 miliardi di euro per le politiche per il lavoro, di cui solo 4,9 miliardi per le politiche attive”. Anche sul contratto a tutele crescenti il top manager di Confindustria ha qualche dubbio: “Stiamo premiando l’anzianità anziché il merito: non è questo il messaggio giusto. Inoltre si disincentiva la mobilità e questo è un danno per le aziende e i lavoratori”. Senza dimenticare che “La competitività dell’Italia si compone di tanti fattori, di cui il lavoro è solo uno: noi siamo globalmente inefficienti innanzitutto per un problema di produttività”.
UN LUNGO ITER PER IL JOBS ACT
Il Jobs Act è una legge delega e anche per questo il suo iter si preannuncia lungo. I messaggi degli attori del mercato sono chiari: Matteo Renzi dovrà lavorare parecchio sui dettagli della sua proposta. “Il Jobs Act piace ai partner europei dell’Italia ma per ora è solo un vago set di principi lontani dei mesi dal diventare legge”, ha scritto l’agenzia Reuters nei giorni scorsi. “E non è chiaro che cosa Renzi stia veramente proponendo: le leggi delega già sono vaghe per natura, ma il Jobs Act è così generico che alla fine potrà essere tutto, da una rivoluzione a tanto rumore per nulla”. Questo elemento è stato sottolineato da tutti i partecipanti al convegno Randstad. Resta fermo l’apprezzamento per lo sforzo del premier, come indicato da Randstad, di rimettere la legge del lavoro italiana al passo con i cambiamenti del mercato – un mercato che non è più statico ma fatto di mobilità. Garantire che sia una mobilità “di qualità” è il duro compito del Jobs Act.