Meno di sei anni fa, al termine della seconda Amministrazione Bush, “l’era della superiorità americana pareva destinata a finire in conseguenza dell’eccessivo sforzo imperiale e della crisi economica”. Il neo eletto Barack Obama “sembrava un candidato improbabile per invertire questa tendenza”. Il suo nuovo corso ha invece coinciso “con un’eccezionale inversione del declino statunitense nel settore degli idrocarburi” tanto che oggi le basi del potere americano non appaiono più “così deboli come si era supposto”.
LO SHALE BOOM CAMBIA LE CARTE IN TAVOLA
“I progressi tecnologici, specie nel campo della perforazione orizzontale e della fratturazione idraulica (fracking), hanno [..] portato a una pronta rivalutazione delle riserve energetiche americane”, tanto da smentire il Dipartimento dell’Energia che solo qualche anno prima sosteneva si prospettasse per gli Stati Uniti “la necessità di aumentare le importazioni di gas naturale.” L’impatto dello shale gas sull’economia ed il potere degli Stati Uniti è probabile sia “di entità eccezionale”, non solo per la rapida e molto consistente riconsiderazione delle riserve, ma anche e soprattutto per la “capacità di sfruttare effettivamente, a differenza dei loro concorrenti, questa risorsa”. Inoltre,“anche le estrazioni di greggio non convenzionale [..] sono aumentate in modo eccezionale”, tanto da arrivare “nel 2011, a 1 mil. bbl/g.”. Tutto ciò comporta dei “rilevanti cambiamenti nelle basi fisiche del potere statunitense che lanciano una sfida importante al cuore stesso della causa «declinista».”
Considerevoli benefici interni di breve e lungo periodo
I benefici economicidellashale revolution “sono già considerevoli, anche nell’attuale fase embrionale dell’industria”. Di fatto, “il prezzo del gas naturale ha avuto un tracollo, con evidenti benefici per i consumatori domestici e industriali”. Inoltre, ad “una maggiore ricchezza […] imputabile alle ridotte importazioni” vanno sommati “altri benefici indiretti” come un maggiore “ritorno fiscale in termini di royalty […] stimato appena al di sotto dei 1.000 mld. doll. nell’arco dei prossimi 25 anni”, “guadagni in termini di occupazione” e vantaggi connessi al minore costo dell’energia per le industrie e per i consumatori tanto che “al 2035 il consumatore residenziale medio americano beneficerà di un reddito disponibile addizionale di 2.000 dollari annui”.
POTERE AMERICANO E IMPLICAZIONI GEOPOLITICHE GLOBALI
Offrendo “ai decisori politici di Washington la prospettiva di una riduzione di lungo termine degli introiti dell’OPEC e dei due produttori con le maggiori riserve di gas convenzionale: Russia e Iran”, lo shale boom avrà implicazioni rilevanti dal punto di vista geopolitico ed economico. “Gli Stati Uniti giocheranno un ruolo più importante dell’attuale nel determinare offerta e prezzi dell’energia a livello mondiale”, potendo contribuire a modificare anche gli equilibri nei rapporti tra Europa e Russia. Gli autori sottolineano come “la ripercussione più rilevante della shale revolution sarà forse quella sulla destinazione finale delle esportazioni di petrolio e gas del Medio Oriente”; con ogni probabilità, “il grosso della produzione mediorientale andrà a soddisfare i voraci mercati asiatici”, specie la Cina che potrebbe diventare sempre più “determinata a garantirsi le forniture da quella regione”.
GLI IDROCARBURI NON CONVENZIONALI PROLUNGANO IL POTERE AMERICANO
Rivendicando la validità della teoria della resilienza del potere americano, secondo gli autori “la shale revolution richiede un totale riesame delle basi materiali su cui poggia il potere degli Stati Uniti”. Il gas non convenzionale ha liberato una serie di risorse economiche altrimenti destinate all’importazione di GNL che “sono ora disponibili per un uso più produttivo nell’economia interna”.“Le conseguenze geopolitiche di questi sviluppi rimangono difficili da prevedere con certezza”, soprattutto in riferimento al ruolo del Medio Oriente. Bisognerà vedere se gli Stati Uniti vorranno continuarea “preoccuparsi di mantenere la stabilità” nella regione a difesa dei loro alleati e dell’economia mondiale limitando i “vantaggi nell’avvicinarsi autosufficienza energetica” o se cederanno alla “forte vocazione neo-isolazionista” che da trent’anni pervade l’opinione pubblica statunitense.
Trovi l’articolo completo sul numero 3.2014 della Rivista Energia