Ecco, si rimane proprio impressionati nel percorrere le sale della Galleria a Campo de’ Fiori. Ed è tutto merito di Fabio Sargentini. A un certo punto ci si confonde nell’incrocio tra reale e immaginario. Tra conscio e subconscio. Lo spazio ventoso dell’arte, quando l’immagine è affidata alle cure del vento e della luce, ed è immagine di abito di donna, questa è capace di accendere tutte le immaginazioni. Il vento, su cui surfa la luce, culla l’immaginario di ognuno e spedisce tutti in quella zona grigia per metà fatta di ciò che è reale e per l’altra metà di ciò che è vero. Tutte le donne della propria vita si affacciano dalle finestre e ognuna, indossando l’abito, conquista la consistenza. Ogni fantasma, nella realtà dell’abito, trova la verità di una diafana esistenza.
Ho visto Ulisse correre nelle sale assai più disperato che sul ponte della sua nave senza meta. Perché quel vento dalle finestre gli evocava tutte le donne della sua vita in un unico istante: Penelope, Circe, Nausicaa. Tutte indossavano lo stesso abito che nella miscela di aria e luce diventava un abito altro. Un entità altra. Ho visto Geppetto fisso a guardare dentro a un vestito che lo sgonfiarsi del vento lo ha lasciato in un abbraccio di solitudine, testimone del commiato definitivo della sua donna e fata. Ho visto un cucciolo di uomo che dalla sua prospettiva, guardando verso una finestra, vedeva comparire la falce della luna a far da collo e capo al vestito che dava le spalle alla sera di luna crescente.
O forse, quei vestiti vuoti non sono altro che l’immagine di un mondo da cui le donne sono sparite. Come la Troia raccontata da Euripide.
Tutte le donne nel volo di un’unica veste
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