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Perché la crisi ucraina minaccia la stabilità dei Balcani

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

Le dichiarazioni che, pochi giorni fa, la cancelliera Angela Merkel ha rilasciato sullo stallo e l’aggravamento del quadro geopolitico dovuto alla crisi ucraina, portano dritti ai Balcani. Messe insieme alle parole di Vladimir Putin, che ha ribadito che la Crimea è indipendente come il Kosovo, le dichiarazioni della leader tedesca chiudono il cerchio delle possibili minacce o soluzioni che la comunità internazionale deve trovare in merito alla partita a scacchi geostrategica in atto.

L’isolamento della Serbia è, per molti osservatori, noto negli ambienti politici internazionali. Il dialogo promosso dall’Unione europea attraverso Eulex e l’e Lady Pesc Catherine Ashton, hanno portato all’instaurazione di un tavolo diretto Belgrado-Pristina su tematiche politiche e amministrative, con l’intento di gestire le minoranze reciproche, il dialogo sociale e gli scambi commerciali. La normalità èsempre minacciata dalle provocazioni, politiche e non, che infiammano le questioni etniche e storiche tra albanesi, serbi, montenegrini e macedoni.

La Germania e l’Austria hanno un interesse storico che li lega ai Balcani e la cancelliera Merkel ha rilanciato il Partenariato Strategico sui Balcani con tavoli permanenti presso il suo Ministero degli Esteri. La proiezione economica degli investimenti congiunti a quelli europei arriverà a toccare i 120 miliardi di euro nei prossimi anni.

I processi delle riforme e l’innalzamento dei debiti stanno riportando le economie balcaniche a livelli di crescita sostenibile, controbilanciate da un alto livello di scontro politico interno e dal condizionamento delle economie criminali che finanziano parte dei leader. L’asse delle alleanze storiche ruota attorno al conflitto in Kosovo. Gli albanesi kosovari, quelli di Albania, Fyrom e Montenegro sono proiettati e ispirati culturalmente dal mondo anglosassone, italiano e turco, pur emergendo attualmente una forte ripresa identitaria nazionale che ne traccia una linea indipendente rispetto ai modelli di riferimento storico.

La Serbia, parte del Montenegro e la Fyrom, tutt’ora vengono influenzate dal panslavismo e dall’ortodossia politica oltre che religiosa. In questo concorre anche la crisi internazionale che ha coinvolto la rinascita del nazionalismo greco e il perdurare della crisi finanziaria che ha travolto sia la Grecia sia la Bulgaria. Se la minaccia dei Balcani diverrà prioritaria per la Russia attraverso manovre militari congiunte con la Serbia, dopo la visita di Putin due settimane fa, significa che il prezzo della pace europea e il rilancio del dialogo sull’Ucraina passa attraverso il riconoscimento reciproco di Kosovo e Crimea da parte di entrambi gli schieramenti.

L’alternativa sarebbe un continuo crescere della conflittualità inter-etnica, che porterebbe alla demolizione di quanto costruito finora dall’Occidente nei Balcani e all’avvicinarsi di ombre oscure legate all’integralismo islamico. L’Albania in particolare, con il premier Rama, sta compiendo sforzi enormi per normalizzare il quadro geopolitico balcanico rilanciando il primato del dialogo, testimoniato da Papa Francesco durante la sua visita a Tirana, e dalla storica visita di Rama a Belgrado dopo 68 anni.

Da qui derivano le strategie della Russia, il nervosismo della Grecia, l’attesa della Turchia e le dinamiche post-elettorali in Kosovo, nonché la rispresa degli attentati antigovernativi a Skopje. Servono menti intelligenti e capaci a coniugare realpolitik e strategia di lunga durata. La pace europea può incrinarsi nei Balcani, come testimonia la Storia.
L’Italia deve integrare un negoziato strategico europeo quale perno della sicurezza del Mediterraneo e garante delle radici comuni, sta all’Alta Rappresentante Ue Federica Mogherini e al ministro degli Esteri Paolo Gentiloni delineare una politica diplomatica che non incespichi sulle debolezze comuni.

Il centenario della Prima Guerra Mondiale, coincidendo anche con quello della caduta dell’Impero Ottomano a cui era stata sotratta la Crimea nel 1850-55, può essere da esempio per ritrovare una chiave di volta nelle trattative.


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