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Ultimo atto (con sorpresa) della tragedia scritta dalla Fed

Quando leggo che Richard W.Fisher, presidente della Fed di Dallas, ha bisogno di scomodare Shakespeare per raccontare cosa sia stato il quantitative easing americano, scopro con lieta sorpresa di non essere il solo a credere che l’economia sia una raffinata forma di letteratura. Una narrazione, pura e semplice, nella quale lo strumento (la matematica) dissimula il fine (la politica) allo scopo, edificante e quindi squisitamente retorico, di persuadere qualcuno a fare qualcosa.

E mi diverte pure la spigliatezza con la quale il nostro banchiere, obbedendo alle ferree prescrizioni della poetica aristotelica, trasforma l’epopea di questi cinque anni, dove una politica monetaria a dir poco sregolata ha nutrito insensati boom degli asset, in una tragedia in cinque atti, ove conosciamo l’esito solo dei primi quattro mentre l’ultimo, il più aleatorio e vicino a noi, è ancora avvolto nelle spire del pensiero degli dei.

Chi non lo conosce deve essere avvertito della circostanza che Fisher è quello che si dice un falco della Fed. Leggendo la sua allocuzione del 3 novembre scorso (“R.I.P Q3…or will it?”) si capisce bene quanto il banchiere americano abbia maldigerito, al più reputandolo un male necessario, l’interventismo smaccato della Riserva Federale che, in particolare solo con il terzo Quantitative easing che adesso la Fed ha annunciato stopperà, ha immesso 1,7 trilioni di dollari nel mercato delle obbligazioni del Tesoro a lungo termine e degli Mbs, ossia le obbligazioni che hanno sotto debito legato a mutui immobiliari.

Tale montagna di denaro è andata a sommarsi agli altri 2 trilioni che la Fed aveva immesso nel circuito dal 2008 in poi con gli altri due QE, con la conseguenza che il bilancio della Fed, che prima del 2008 quotava 900 miliardi di dollari di asset ora si è moltiplicato per cinque, portandosi a 4,5 trilioni di dollari.

Tutto ciò, e Fisher non si perita di nasconderlo, al nostro banchiere piace poco o punto. Ciò in quanto con l’attivazione dei QE “il governo beneficia di costi per gli interessi più bassi nel breve periodo, ma i suoi incassi netti futuri diventano più sensibili agli incrementi a venire dei tassi”. O, per dirla più chiaramente, “I problemi del governo sono ridotti oggi, ma al costo di problemi potenziali in futuro”, proprio a causa dell’aumentata esposizione al rischio tassi.

Fisher ricorda la famosa citazione di Bernanke, secondo la quale “il problema con il QE è che funziona in pratica, ma non funziona in teoria”, ben lieto di osservare come effettivamente il QE abbia migliorato lo stato della finanza americana, e in ultima analisi mondiale, Fischer sottolinea con malignità da scrittore consumato che ciò è stato fatto ” a spese dei risparmiatori che tengono i loro soldi in forme basiche di investimento a breve”. I depositanti, ad esempio. “Ma questo è un costo – osserva – che il FMOC della Fed sentiva sarebbe stato compensato dall’atteso effetto-ricchezza”, ossia dal miglioramento delle condizioni generali dell’economia seguente ai QE.

A proposito: si può pensarla come si vuole sul wealth effect ipotizzato dalla Fed, ma credo che la battuta di Fisher la racconti meglio di qualunque rilevazione statistica: “C’è stato un positivo effetto ricchezza – dice – nel senso che i ricchi hanno subito un effetto positivo“.

Ciò basterebbe a capire perché Fisher, già da tempo, avesse richiesto di interrompere gli acquisti di asset da parte della Fed e perché abbia accolto con entusiasmo l’annuncio che il programma era effettivamente terminato. “Sono convinto – sottolinea – che il costo di accumulare altri 1,7 trilioni di Treasury e MBS mostrerà presto di aver superato i vantaggi”, e il richiamare alla memoria l’episodio di taper tantrum del maggio 2013 gli calza a pennello. All’epoca, lo ricorderete, i mercati internazionali si depressero non poco. “Per questo avevo proposto di iniziare il tapering già dall’inizio del 2014″, spiega.

Così non è stato. Col risultato che oggi, sottolinea, “abbiamo visto ciò che io considero essere manifestazione di una indiscriminata ricerca di rendimento, un revival di prestiti senza garanzie e un’esplosione delle obbligazioni collateralizzate (CLOs): patologie che abbiamo già visto essere causa di possibili turbolenze”.

E come esempio di come stiano ragionando i mercati, vale quello delle obbligazioni a tripla C, ossia i junk bond. Il 40% di queste obbligazioni emesse ha cash flows negativi e tuttavia vengono emesse e scambiate a livello record sui mercati. Mentre i mercati azionari sono aumentati più del doppio fra il 2009 e il 2012, e dopo il Q3 sono cresciuti di un altro 40%. “Mi preoccupa pensare che la Fed con il Q3 possa aver alimentato questi rischi, visto che non credo sia compito della Fed salvare gli investitori imprudenti”.

E ora si pone il problema dell’exit strategy, o dell’exit tragedy, se vogliamo.

Anche qui, i dati parlano chiaro. Nelle 12 banche della Riserva Federale sono depositati 2,7 trilioni di riserve in eccesso da parte delle banche che hanno rapporti con la Fed. Ciò significa che questi soggetti non sono riusciti a a trovare un uso migliore di questi fondi che depositarli presso la Fed che li remunera al ricco tasso dello 0,25% annuo.

Non so voi ma io ho trovato stranissimo che le banche americane non trovino debitori capaci di assicurare un rendimento migliore. E la cosa mi è sembrata segno di una potenziale mancanza di fiducia e di straordinaria fragilità. Anche perché, come ci ricorda Fisher, questi 2,7 trilioni rappresentano più o meno un quinto della liquidità del sistema finanziario americano. Quindi “c’è un notevole potenziale inflazionario che può rendere difficile alla Fed uscire dalle politiche iper accomodative di questi anni”.

Ovviamente nessuno sa come andrà a finire. E questo Fisher ce l’ha molto chiaro e, retoricamente, lo sottolinea più volte. Eppure la piccola tragedia che presenta in chiusura del suo intervento lascia sospettare che qualche brutto pensiero lo abbia fatto.

“Il post-zero bound suggerisce che noi siamo al quinto atto di quella tragedia scespiriana che ho chiamato “Il grande esperimento nel monetarismo moderno” e non sapremo come si concluderà finché il sipario non sarà calato”.

E’ divertente quindi sommarizzare i primi quattro atti di questa tragedia, ottimi per le conversazioni post prandiali o le chiacchiere da aperitivo.

La scena si apre con la grande crisi del 2008-9 durante la quale appare che la grande barca dell’economia americana fosse in procinto di affondare. Nell’atto secondo “un umile, una volta senza pretese ma poi improvvisamente audace capitano di nome Ben Bernanke prese il fermo controllo della moneta della nazione adottando radicali tattiche di manovra. Questi sforzi servono a tenere la barca dalle secche della deflazione o della depressione, conducendola in acque più tranquille”.

“Il terzo atto comincia con l’economia in ripresa, indirizzata verso un percorso più promettente. Ma il progresso si rivela scadente, ostacolato com’è dai relitti e dall’incompetenza nei bilanci fiscali, oltre che dai timori di una nuova tempesta in Europa. Così, nel tentativo si portare l’economia verso un miglioramento, il FOMC ha ordinato che quantità senza precedenti di combustibile monetario fossero indirizzate verso il sistema finanziario attraverso grandi acquisti di asset (il Q3, ndr) i cui proventi sono stati pompati nelle banche”.

Ma nel bel mezzo del quarto atto ci si è accorti che “le le banche indugiavano dietro le quinte piuttosto che prendere il centro della scena. Invece di far arrivare i loro mezzi abbondanti per alimentare le caldaie dei prestiti, erano diventate parsimoniose e avevano finito con l’accumulare il loro combustibile”.

Al contempo, gli altri soggetti finanziari hanno ritrovato la fiducia, in particolare quelli che si finanziano con azioni e obbligazioni, invece che con prestiti bancari.

Costoro “hanno esibito la loro maschera più felice mentre decoravano i loro bilanci con il debito più economico, migliorando margini e utili per azione attraverso il riacquisto di azioni”. “Lentamente hanno cominciato ad assumere nuovi lavoratori, e la nave della economia ha iniziato a riprender slancio”.

Ora siamo entrati nell’atto finale, il quinto. “Non sapremo fino alla scena finale se abbiamo raggiunto il risultato auspicato, ossia un’economia che cresce abbastanza da creare occupazione senza provocare inflazione. Nelle commedia di Shakespeare l’esito felice di solito coincide con un matrimonio, e nel nostro caso significherebbe celebrare le nozze fra una politica fiscale ragionevole e una politica monetaria prudente”. Il che, visti i precedenti americani, sarebbe davvero una sorpresa.

Ma se così non fosse?

Probabilmente nessuno avrà il tempo o la voglia di raccontarlo.

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