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Music Key, ecco come YouTube sfida Spotify, Deezer e Beats Music

Un passo storico nella strategia di YouTube che potrebbe imprimere un cambio di marcia a tutto il settore della musica su Internet: la piattaforma video di proprietà di Google, da sempre gratis, lancia da lunedì 17 novembre un servizio a pagamento, Music Key, che si pone in diretta concorrenza con Spotify, Deezer e Beats Music di Apple. Il nuovo servizio di YouTube rende disponibili milioni di canzoni e video musicali senza pubblicità in streaming a chi si abbona.

COME FUNZIONA MUSIC KEY

“Artisti e fans hanno fatto di YouTube il più grande servizio musicale del mondo”, dice Christophe Muller, director of global music partnerships di YouTube. “Vogliamo continuare a fare di YouTube il posto ideale dove artisti e fans possono entrare in contatto”.

Music Key sarà lanciato in fase beta e su invito su sette mercati pilota, tra cui l’Italia e poi Usa, Uk, Finlandia, Irlanda, Spagna, Portogallo. Tra le funzioni più importanti di Music Key, c’è quella di vedere milioni di video musicali senza interruzioni pubblicitarie e la possibilità di ascoltare musica in background su smartphone e tablet (con la riproduzione che continua anche quando si esce dall’app YouTube per fare altro) e di scaricare i brani preferiti e ascoltarli anche quando non si è connessi a Internet. Il servizio è gratuito per i primi sei mesi, poi costerà 7,99 euro al mese. Music Key include anche l’abbonamento a un preesistente servizio in abbonamento di Google per la musica, il “Google Play Music“, anche questo concorrente di Spotify, che normalmente costa 9,99 dollari al mese.

Insieme al nuovo servizio YouTube fa anche un restyling del suo sito e della sua app (che restano gratuiti): in pratica, vengono offerti nuovi strumenti sia a chi paga sia a chi usa solo il sito gratuito. La maggiore novità del rinnovato YouTube è una “finestra” sul sito web e sulle app per Android e iOs che dà consigli personalizzati sui video, le playlist e la musica che fa tendenza su YouTube. Il sito metterà anche in evidenza gli album e le discografie degli artisti.

L’ACCORDO CON LE ETICHETTE INDIPENDENTI

Il nuovo servizio di YouTube può partire grazie all’accordo che la piattaforma di Google ha siglato con l’agenzia Merlin, che rappresenta le etichette indipendenti, per ottenere i diritti a trasmettere la loro musica. Le trattative sono durate mesi e sono state un difficile braccio di ferro in cui YouTube ha minacciato di togliere dal suo sito i video musicali di artisti come Adele e gli Arctic Monkeys se le sue richieste non fossero state soddisfatte.

YouTube ha già degli accordi con le tre etichette discografiche principali, Universal, Sony e Warner, ma per lanciare un servizio con un catalogo completo di canzoni di successo aveva bisogno di ottenere la licenza dall’agenzia Merlin, che rappresenta 20.000 etichette indipendenti ed è nota come la “quarta major”.

Il lancio del servizio in abbonamento è destinato a trasformare il rapporto tra YouTube e l’industria musicale. La piattaforma video di Google è stata considerata finora uno strumento per promuovere gli artisti online, ma non per guadagnare dalla musica. Se YouTube riuscirà a convertire un numero consistente dei suoi utenti mensili (un miliardo) in abbonati che pagano, genererebbe enormi introiti per l’industria musicale. Midia Research prevede che il servizio guadagnerà 500 milioni di dollari in entrate dagli abbonamenti nel giro di un anno, una somma significativa per il mercato globale della musica registrata, che vale 15 miliardi di dollari.

Questo non vuol dire che Music Key sia un successo annunciato. Secondo l’analista Mark Mulligan di Midia Research, solo il 7% dei consumatori si dice disposto a pagare l’abbonamento a YouTube e il 25% dice che non pagherà mai per l’abbonamento, perché tutta la musica che cerca è già sulla piattaforma gratuita di YouTube. Al tempo stesso, YouTube resta una fondamentale piattaforma di promozione per etichette e artisti e la demarcazione tra scoperta e consumo di un brano o video è sempre meno netta. Il potere di YouTube risiede anche nell’offerta che non è una canzone o un video ma lo streaming di un concerto, i filmati degli artisti in tour, le sessioni di registrazione, e così via. Tenuto conto di questo, Music Key ha il potenziale di diventare la piattaforma per la musica più attraente sul mercato. 

Anche per Enzo Mazza, presidente Fimi, YouTube finora “è stato fino fondamentalmente uno strumento di promozione e marketing, senza dimenticare l’indiscutibile vantaggio per le aziende discografiche di monetizzare i contenuti”, ma ora “potrebbe trasformarsi finalmente in un vero servizio di streaming musicale con una potenziale platea di decine di milioni di clienti”, assicurando “una buona conversione di clienti free verso il servizio premium, perfino in Italia dove la predisposizione a pagare per i contenuti musicali è tutt’ora molto bassa”.

“La presenza del video inoltre porta il servizio di YouTube ad essere sicuramente competitivo con i concorrenti nell’arena dello streaming musicale e questo è un plus da non sottovalutare”, continua Mazza.

CAMBIA LA MUSICA ONLINE?

Ma il mercato della musica online potrebbe cambiare anche in un altro senso. Finora le grandi etichette discografiche hanno permesso alle piattaforme musicali in streaming come Spotify di far provare gratuitamente i loro servizi per un periodo limitato con la speranza che questo convincesse gli utenti a passare all’abbonamento e a rinunciare ai siti gratuiti di file-sharing e a tutte le fonti illegali di musica online. Anche Apple Music Beats prevede un periodo di prova gratuito e così il nuovo Music Key.

Ma l’ingresso di YouTube, finora completamente gratuito, sul mercato a pagamento potrebbe segnare una svolta. Le etichette discografiche sarebbero pronte a cavalcare questo trend per mostrarsi meno generose verso i servizi gratuiti su Internet e far sentire il loro peso nei negoziati sul licensing, togliendo i loro contenuti dai siti gratuiti e riservandoli a quelli a pagamento. Le major della musica – Universal, Sony e Warner  – starebbero tentando di convincere i servizi musicali online a eliminare i periodi di prova gratuiti, a prendersi i dati delle carte di credito dei consumatori non appena accedono ai loro servizi (e non solo quando si abbonano) e a investire di più per ridurre in tassi di abbandono degl abbonati.

“Le offerte in streaming gratuite e finanziate dalla pubblicità hanno aiutato a combattere la pirateria e a creare un vasto pubblico online ma non sono un modello sostenibile”, afferma il presidente di Universal Music Lucian Grainge. I servizi musicali di Internet naturalmente la vedono in modo diverso: togliere i periodi di prova gratis può scoraggiare gli utenti che hanno bisogno di essere “guidati” a capire come funziona il modello a pagamento.  “Il nostro servizio gratuito promuove quello in abbonamento”, dice il Ceo di Spotify Daniel Ek.

L’INDUSTRIA MUSICALE VUOLE DI PIU’

Da quando è stato acquisito da Google nel 2006, YouTube ha versato più di un miliardo di dollari all’industria musicale nella forma di accordi di licensing ma l’industria musicale, che pressa perché i modelli free vengano messi da parte, sembra volere di più. Lo dimostra anche il caso di Spotify, il portale di musica in streaming nato in Svezia, che nei giorni scorsi è sceso in campo per difendere a spada tratta il suo modello di business annunciando di aver pagato 2 miliardi di dollari all’industria musicale e agli artisti combattendo nel contempo la pirateria da quando ha aperto i battenti nel 2008.

Le dichiarazioni sono state affidate a un blog post del Ceo Daniel Ek e sono servite anche di risposta al caso della cantante americana Taylor Swift che ha ritirato il suo intero catalogo da Spotify. L’etichetta della Swift, Big Machine, non ha spiegato il perché della decisione ma a luglio la cantante dichiarava che la musica ha un grande valore e non dovrebbe essere gratis.

Ek ha replicato dicendo che la Swift ha ragione: infatti, ha aggiunto, Spotify ha un numero totale di utenti attivi mensili di 50 milioni di persone (in crescita del 25% negli ultimi sei mesi), di cui 12,5 milioni pagano l’abbonamento, e ha ampiamente remunerato etichette e cantanti.

“Lavoriamo giorno e notte per sottrarre denaro alla pirateria e versarlo gli artisti e all’industria musicale”, ha sottolineato Ek.

Numeri prontamente smentiti dalla Big Machine: mentre Ek sostiene di aver pagato alla Swift 2 milioni di dollari per lo streaming globale delle sue canzoni, Scott Borchetta, Ceo dell’etichetta di Taylor Swift, afferma che la cantante ha guadagnato meno di 500.000 dollari dagli stream di Spotify negli Usa negli ultimi 12 mesi.

“La Swift guadagna più dai video su Vevo che dalla musica su Spotify”, ha detto Borchetta. A proposito di Vevo, potrebbe essere questo il competitor che Music Key rischia di mettere in difficoltà, molto più che Spotify: è una piattaforma video e il nuovo servizio di YouTube a pagamento potrebbe andare a catturare proprio i suoi utenti e le sue entrate pubblicitarie, tanto che gli analisti di Midia Research pensano probabile un’alleanza Vevo-Music Key che possa garantire al primo la sopravvivenza.

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