L’elicottero, visualizzato sotto tutti gli angoli possibili e che è protagonista del percorso immaginifico di Maria Grazia Pontorno per Arshake, in questa rilettura tutta umanistica della tecnologia, in un gioco di rimandi dal basso verso l’alto e dall’alto verso il basso, agita con i suoi rotori mulinelli di pensieri. Produce turbolenza di riflessioni che si spaccano in vortici di scala sempre più piccola, quella che Reynolds, per tramite del numero omonimo, impone a Natura. Vortici di cui l’uomo può scorgere soltanto quelli che i più piccoli elementi finiti in cui i calcolatori possono scomporre il reale riescono a cogliere e rappresentare. Prandtl, Van Driest, Knudsen salutano Maria Grazia e la riveriscono. Loro che sono Papi della scienza sepolti da una coltre d’ignoranza. Quella dovuta alla troppa tecnologia da mercato, l’unica che inizia sempre per i trattino e non conosce crisi neanche in tempi di crisi.
L’elicottero, invenzione un po’ italiana e certamente russa, cui pensò Corradino d’Ascanio in quel di Pisa mentre doveva inventarsi la vespa, nella rappresentazione tutta matematica, tutta numerica che ne fa l’artista non è solo un modo estetico per mostrarlo. Dice altro, significa. Evoca il concetto di rete, di rimandi. Ma anche quello della gabbia. Della trama. Ed è, appunto, trama una città, a maggior ragione l’Urbe quando la si guarda dall’alto. Un reticolo di percorsi e di significati. Non solo urbani ma anche narrativi. E’ proprio quella trama che gli urbanisti dovrebbero tenere bene a mente quando intervengono sul tessuto cittadino. Conservando, proseguendo il cammino senza brusche e inopportune cesure e discontinuità. Alla stessa stregua del giardiniere che si occupa di fusto e chioma delle sue arboree creature.
Quel fluire di storia, d’identità, gli scorci che il sole e la luna illuminano sono il pane dell’immaginario collettivo. La mappa che permette agli individui fatti cittadini di orientarsi. Di appartenere a una comunità che, nel caso dell’Urbe, è nata in quel miscuglio di sangue e fango nel fossato di Remuria aperto dal vomere perché accogliesse le fondamenta degli imperi: quelli di Cesare e di Cristo. Questo spazio multimediale, l’oblò dell’elicottero dal quale Maria Grazia Pontorno ha aperto il suo sguardo su Roma è, dunque, un ponte gettato su questo ingiusto presente. Un’unica campata tra passato e futuro. La realizzazione, meno esoterica, ma altrettanto potentemente immaginifica e pirotecnica di rimandi, del cronovisore. Quell’apparecchio frutto della mente del monaco benedettino Pellegrino Ernetti. Fisico, filosofo, esperto di musica antica, esorcista perfino. Ernetti, se fosse egli stesso uno strumento, sarebbe l’astrolabio, il punto d’incontro tra sapere scientifico e sapere umanistico, e piacerebbe assai a Guido Bonatti. Con l’ invenzione del cronovisore o cronoscopio, che seppe catturare l’attenzione di Isaac Asimov, non certo l’ultimo arrivato quando si tratta di partire per la tangente, Ernetti trovò il modo di cogliere le scie di energia relitte del passato, degli eventi che furono e dei suoi protagonisti. Scie che impiegano un tempo infinito a smorzarsi prima di scomparire del tutto nell’oblio del tempo. Ecco quindi il più grande merito di questo progetto di Maria Grazia Pontorno: quello di aver riportato alla luce l’invenzione di Pellgrino Ernetti che era finita, chissà dove, sepolta tra le tombe Vaticane. Uno strumento attraverso i cui occhi, che sono quelli che Maria Grazia ci offre, perfino il volo abdicante di Benedetto XVI può essere letto secondo imperscrutabili e originali chiavi di lettura.
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