E’ una sconfitta su tutta la linea, quella che emerge dalla lettura dell’ultimo Bollettino della Bce: l’intera exit strategy europea dalla crisi sembra destinata al fallimento. Anche la prospettiva della Commissione europea, che ha rinviato a marzo la decisione di aprire le procedure di infrazione per violazione del Fiscal Compact, sembra campata in aria: solo per rispettare gli impegni relativi alla riduzione del debito pubblico, l’Italia potrebbe essere chiamata a mettere in piedi una correzione di 2,5 punti percentuali del Pil, Ma tasse o tagli per 40 miliardi di euro sono realisticamente al di fuori dalla portata di chiunque, Troika compresa.
I NUMERI DELLA BCE
Secondo la Bce, le prospettive di crescita dell’Eurozona si sono fatte sempre più contenute: crescerebbe appena dello 0,8% nell’anno in corso, dell’1% nel 2015 e dell’1,5% nel 2016. Anche l’andamento dell’inflazione è stato rivisto al ribasso: raggiungerà lo 0,5% quest’anno, lo 0,7% nel 2015 e l’1,3% nel 2016. Nel frattempo, il rapporto tra debiti pubblici e Pil è salito: era del 90,8% nel 2013, sarà del 94,5% alla fine di quest’anno e crescerà ancora nel 2015 raggiungendo il 94,8%. Scenderà, ma solo nel 2016, al 93,8%. E’ esattamente la stessa prospettiva a cui siamo stati abituati in Italia, ormai da anni, leggendo i Documenti di economia e finanza: il punto di svolta nel rapporto debito/pil si rinvia da un anno all’altro. Un anno dopo l’altro.
ITALIA AL RIBASSO
Non solo, quindi, il 2014 si chiude per l’Eurozona molto peggio del previsto, ma un quadro assai fosco incombe sul suo futuro, soprattutto perché tanti nodi e soprattutto tanti errori stanno finalmente venendo al pettine. Anche in Italia, d’altra parte, con l’aggiornamento al Def per il 2014 a settembre scorso, sono state riviste al ribasso le stime di crescita del Pil: si è dovuto ammettere, con una inusitata quanto tardiva onestà politica ed intellettuale, che tutte le previsioni macroeconomiche effettuate in questi anni sono state basate su moltiplicatori fiscali assolutamente inidonei a simulare le reazioni di economie profondamente colpite dalla crisi.
LE CONFESSIONI DELLA BCE
Stavolta è stata la Bce a dover riconoscere il fallimento delle sue politiche monetarie: nonostante i tassi di riferimento ormai a zero e la penalizzazione dello 0,20% per i depositi bancari ulteriori rispetto alla riserva obbligatoria, la prima asta di T-Ltro, volta a rifornire le banche di nuova liquidità al fine di sostenere le imprese non ha sortito gli effetti sperati. La seconda, svoltasi dopo la pubblicazione del Bollettino, è andata quasi deserta, con una domanda delle banche che è stata largamente inferiore rispetto alle disponibilità.
LE TENDENZE DEI PRESTITI
Contraddicendo ogni pur pessimistica previsione, nel corso del terzo trimestre del 2014 si è verificata una ulteriore contrazione del credito erogato alle imprese, soprattutto a quelle piccole e medie: in questo caso, infatti, non solo il tasso annuo di crescita del credito è stato ancora negativo, registrandosi un -2% nel terzo trimestre dell’anno, ma si è ridotta la quota relativa ai prestiti oltre i cinque anni, passata dal -1,6% del primo trimestre al -1,9% del terzo trimestre. Per di più, il credito è stato richiesto dalle imprese prevalentemente per effettuare ristrutturazioni ovvero mergers & acquisitions: operazioni finanziarie e non investimenti volti a migliorare la produzione.
UN PAIO DI PARADOSSI
Paradossalmente, mentre il credito alle imprese si è ridotto, la liquidità è complessivamente aumentata: ad ottobre, la componente M3 ha registrato un incremento del 2,5% rispetto all’anno precedente, ma il circolante ed i depositi overnight sono cresciuti del 6,2%: sono i sintomi della trappola della liquidità.
L’IRREALISMO AL POTERE IN EUROPA
L’Unione europea e la Bce hanno adottato congiuntamente una strategia irrealistica: da una parte sono stati stabiliti due obiettivi di stabilità, entrambi estremamente sfidanti e con tempi e parametri fortemente vincolati; dall’altra, le prospettive di crescita sono state lasciate a strumenti aleatori, su base volontaristica. Gli obiettivi di stabilità sono stati inflessibili: conti pubblici in ordine, con manovre eccezionalmente severe volte ad assicurare in tempi brevi il pareggio strutturale, sulla base del Fiscal Compact; banche sistemiche finalmente solide, con capitale adeguato anche rispetto alle congiunture più avverse ed impieghi nettati da perdite e sofferenze, nella cornice delineata dalla Banking Union. Dall’altra parte, sono stati apprestati due strumenti finalizzati alla crescita equilibrata: la politica monetaria è stata particolarmente accomodante, anche attraverso strumenti non convenzionali di finanziamento a favore dell’economia, come contrappeso rispetto alle politiche fiscali restrittive; profonde riforme strutturali, soprattutto nel mercato del lavoro, nei Paesi aventi uno squilibrio strutturale della bilancia estera o afflitti da scarsa competitività e bassa crescita. La flessibilità delle retribuzioni ed in uscita dall’impiego sono state finalizzate al recupero della competitività in un contesto in cui non si può ricorrere alla svalutazione delle monete nazionali.
TUTTI GLI ERRORI DI LORSIGNORI
Il sistema non ha funzionato, perché la velocità e la severità con cui sono state approvate le misure fiscali restrittive è stata di gran lunga superiore alla capacità del sistema delle imprese di riprendere a crescere. Le tasse hanno tagliato drasticamente la domanda delle famiglie, mettendo in crisi il sistema produttivo. D’altra parte, il sistema bancario non si è assunto l’azzardo morale di concedere nuovo credito ad imprese senza mercato. Anche alle banche si è chiesto francamente troppo: dovevano contemporaneamente rafforzare il capitale, mantenersi redditizie, mettere a perdite i crediti dubbi e per di più assumersi nuovi rischi imprenditoriali in condizioni di mercato che è eufemistico definire precarie.
GLI EFFETTI NEFASTI
Agli errori previsionali dei governi e delle istituzioni economiche nella determinazione dei moltiplicatori fiscali, che misurano il rapporto tra le manovre fiscali e la capacità di reazione dell’economia reale, si sono aggiunti quelli sulla resilienza del sistema bancario rispetto all’esercizio di Comprehensive assessment svolto dalla Bce: la prudenza ha fatto premio sulla disponibilità di nuova liquidità, come se non fosse stato sufficiente il disincentivo derivante da tassi di interesse eccessivamente contenuti.
CHE COSA DICE IL BOLLETTINO BCE
Per le banche europee, questo è stato il secondo profilo di criticità: se nell’Eurozona il livello dei debiti pubblici non è mai stato così elevato, mentre le famiglie hanno invece cessato di aumentare il rapporto tra debito e reddito disponibile, entrambi hanno beneficiato dei bassissimi tassi di interessi, riducendo però la convenienza degli impieghi bancari. Nel Bollettino della Bce si mette in luce questa netta differenza rispetto a quanto è accaduto negli Usa: l’economia americana ha infatti mantenuto livelli di remunerazione del debito pubblico coerenti con la remunerazione del denaro nel medio-lungo periodo.
QUESTIONE DI TASSI
Pur essendo partiti dallo stesso livello nel gennaio del 2013, quando su entrambe le sponde atlantiche si pagavano tassi medi sui titoli pubblici dell’1,8% circa, ad ottobre scorso i tassi di interesse sui debiti pubblici europei a lungo termine sono scesi allo 0,8%, mentre i titoli statunitensi rendono già il 2,2%. Questa situazione ha distorto anche la allocazione della nuova liquidità da parte del sistema bancario: tanto più si abbassa lo spread sul mercato secondario, tanto più si valorizzano i titoli di Stato ad elevato rendimento che sono stati acquistati durante il biennio di crisi del debito sovrano, nel 2011-2012, approfittando delle Ltro.
IL PERICOLANTE EQUILIBRISMO
L’Eurozona si trova in equilibrio precario, sia dal punto di vista socio-politico sia sotto il profilo economico-finanziario. Se, infatti, l’elevata disoccupazione ed il progressivo impoverimento delle classi medie mette a rischio la stabilità del consenso politico nei confronti delle politiche di rigore, sono queste stesse politiche di rigore a rendere precarie le prospettive di crescita economica. Le famiglie hanno dovuto contrarre la domanda, le imprese non investono perché hanno ancora molta capacità produttiva inutilizzata, licenziano appena possono, e soprattutto chiudono molto spesso i battenti. La politica monetaria ha esaurito le sue capacità di stimolo, in un contesto di deflazione dei prezzi che peggiora progressivamente la posizione dei debitori. Anche a fronte di nuovi mezzi liquidi, forniti con operazioni straordinarie di rifinanziamento per erogare prestiti all’economia reale, le banche non rischiano.
LA CONCLUSIONE
L’Unione europea ha così ottenuto l’esatto contrario di quanto si proponeva: poca stabilità ed ancor meno crescita. Ci avviamo ad un lungo e penoso periodo di sottoccupazione, senza poter attivare il debito pubblico per rianimare gli investimenti. Le banche, dal canto loro, si sono tirate fuori. Chi troppo vuole, e troppo in fretta, nulla stringe.