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Caro Presidente, per il bene comune, non lasci!

Le gravi parole che dall’autorevole pulpito dell’Accademio dei Lincei proprio Lei, gentile Presidente, ha voluto indirizzare al Paese con l’esortazione ad una “larga mobilitazione comune” volta a recuperare e rafforzare valori portati della convivenza civile come il rispetto delle Istituzioni, la valorizzazione del merito e della cultura, la consapevolezza del bene comune, suggeriscono e consigliano -mi consenta- l’abbandono di ogni  proposito di dimissioni.

Da orfani tutto sarebbe più difficile. E quell’onda “eversiva” quanto travolgente e per tanti aspetti inarrestabile dell’antipolitica troverebbe ulteriore aria per le proprie vele.

Chi ha giudizio lo utilizzi, per il bene proprio e degli altri! Questo è ciò che raccomanda la nostra tradizione cultural-popolare che rimane, in questa depressione morale, un segnale di direzione sicuro.

In fondo molte sono le questioni da portare in porto: c’è una crisi da vincere, c’è un cambiamento costituzionale ed istituzionale da ultimare (possibilmente senza grandi rimpianti o pentimenti), c’è un Paese da rifondare.

Sfide che hanno l’indispensabile esigenza della Sua saggezza, della Sua esperienza e della Sua tenacia.

Viviamo una stagione in cui la politica è stata distrutta per buona parte dalla partitocrazia dell’ultimo ventennio del secolo scorso, ma anche, da una furia giustizialista che ha sterminato un patrimonio di storia politica (a cui deve essere comunque riconosciuto il merito di aver risollevato l’Italia in rovina del dopoguerra) senza intaccare minimamente le radici culturali e materiali del malaffare che, per contro, ha continuato a radicarsi nel tessuto sociale e politico del Paese.

Un aspetto, quest’ultimo, che ha contribuito in modo forse decisivo al “fallimento” della cosiddetta Seconda Repubblica: distruggere senza estirpare ecco il vero limite di una travagliata transizione che dalla partitocrazia ha condotto alla “terra di mezzo”.

L’Italia ha bisogno di un nuovo e vero sistema politico, con partiti culturalmente solidi, organizzativamente strutturati seppur leggeri (oggi si può creare una capillare struttura di contatti senza disporre della vecchia quanto costosissima rete di sezioni o circoli) e finanziariamente sostenuti, in modo trasparente, con risorse private e, per una parte, pubbliche.

Assetto che forse solo una assai più coraggiosa riforma costituzionale ed istituzionale in senso presidenziale o semi-presidenziale avrebbe sicuramente favorito.

Resta un ultimo impegno che, credo, non possa mancare: regalare all’Italia un Panella senatore a vita.

Quindi -caro Presidente- coraggio, avanti con la mobilitazione. Siamo tutti con Lei!

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