Il primo, e forse più importante, punto di contatto tra due periodi storici tanto diversi è rappresentato dalla perdita di prodotto interno. La figura 1 confronta la dinamica della depressione degli anni ’30 in Italia con quella dell’attuale recessione. Il quadro che emerge indica che la crisi economica degli ultimi anni risulta persino più profonda e persistente di quella del ’29, con una riduzione del Pil dell’8% circa a partire dal 2007.
I primi anni delle due crisi presentano caratteristiche simili in termini di Pil; tuttavia, negli anni ’30 il Pil è tornato ai livelli pre-crisi (quelli del 1929) in sette anni, mentre attualmente, dopo quasi sette anni, continua a ridursi prospettando un percorso di ripresa ancora lento e faticoso. Diversa risulta invece la dinamica dei prezzi che solo di recente hanno registrato valori negativi, a fronte di cadute dell’ordine del 20% negli anni trenta (Fig. 2).
L’origine di entrambi gli eventi viene comunemente fatta risalire a una crisi finanziaria – il crollo di Wall Street del ’29 e la crisi dei subprime nel 2007 – ma ciò può risultare riduttivo poiché le difficoltà strutturali e le scelte di politica economica dei singoli paesi hanno contribuito a determinare il percorso della recessione. Ad esempio, la diversa impostazione delle politiche monetarie nelle due crisi, restrittiva negli anni trenta espansiva ora, emerge come una della differenze più significative e in grado di spiegare, almeno in parte, il diverso andamento dei prezzi.
Fig. 1 Pil | Fig. 2 Indice dei prezzi al consumo |
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Fonte: elaborazioni Prometeia su dati ISTAT e Maddison (1991) |
Un altro importante aspetto da considerare è la politica valutaria: il sistema di cambio del gold standard exchange che, per certi versi, ricorda il sistema di cambio fisso della zona euro, è spesso ritenuto il principale responsabile della Grande Depressione. La crisi italiana degli anni ’30 è vista infatti come il risultato combinato di una contrazione della domanda mondiale e delle politiche monetarie restrittive imposte dalle regole del sistema a cambio aureo.
I paesi che abbandonarono il gold standard nei primi anni ’30 furono liberi di espandere l’offerta di moneta e il livello dei prezzi mentre i paesi che, come l’Italia, abbandonarono il gold standard solo nel 1936 subirono una forte deflazione. Ovviamente, gli insegnamenti del passato devono essere valutati con cautela e contestualizzati nell’attuale scenario macroeconomico poiché, analogie a parte, l’uscita dall’eurozona – oggi tanto discussa – appare ben più complicata e rischiosa di quanto non lo fosse quella dal gold standard negli anni ’30, dato l’elevato grado di integrazione finanziaria raggiunto oggi.
In un contesto economico fortemente compromesso da incertezza, debolezze strutturali e difficoltà congiunturali il ruolo delle politiche orientate alla crescita diventa quindi fondamentale. Oltre alla difesa della parità della lira rispetto all’oro, il governo italiano degli anni ’30 perseguì obiettivi di riduzione dei costi di produzione attraverso il controllo dei salari e di stimolo alla domanda interna attraverso l’aumento delle misure protezionistiche. Tuttavia, i salari non si adeguarono sufficientemente alla caduta dei prezzi, determinando un’ulteriore contrazione dell’occupazione e della produzione, mentre l’apprezzamento del cambio determinò una persistente contrazione delle esportazioni.
Per risollevare le sorti dell’economia italiana e impedire che la crisi bancaria avesse in Italia gli stessi effetti che ebbe in Austria e Germania, nel 1933 fu creato l’Istituto di Ricostruzione Industriale (Iri) col fine di salvare le grandi banche e imprese in difficoltà; il governo riuscì quindi a evitare la diffusione del panico tra i risparmiatori, la riduzione dell’offerta di credito e un’ulteriore contrazione economica. Inoltre, la guerra in Etiopia portò a una breve ripresa dell’economia italiana nel 1935 e segnò il primo passo verso il ritorno ai livelli pre-crisi.
Rispetto alla crisi degli anni ’30 la risposta della politica monetaria a partire dal 2008 è stata più rapida e incisiva, determinando una forte riduzione dei tassi di interesse a livello globale. La necessità di sostenere le banche e le imprese ha orientato la politica monetaria della BCE, che con operazioni di acquisto di ABs e covered bond e operazioni di rifinanziamento (TLTRO) punta ad aumentare la liquidità alle banche perché si traduca in credito alle imprese.
In vista dell’attuale rigore di bilancio, sembra invece più difficile perseguire una politica fiscale espansiva – come quella degli anni ’30 – in grado di stimolare gli investimenti e favorire la crescita, ponendo fine al circolo vizioso che collega la bassa crescita a bassi investimenti, bassa inflazione, bassa occupazione e debito elevato.
Tuttavia, se l’impulso fiscale degli anni ’30 fu una conseguenza delle spese militari del riarmo che contribuirono alla crescita industriale e riassorbirono parte della disoccupazione, quello che ci si augura oggi è uno stimolo alla domanda interna che sia invece frutto di riforme e scelte consapevoli di politica economica dell’Italia e, più in generale, dei paesi dell’Uem.