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Cosa manca alla Germania per essere perfetta

Nei giorni dell’Italian-German High Level Dialogue di Torino e della preparazione del Consiglio europeo del 18 e 19 dicembre non soltanto le situazioni italiana, francese e greca sono oggetto di osservazione ma anche quella tedesca, sia pure per questioni di più lunga durata.

Malgrado i benefici delle riforme d’inizio degli anni 2000, la Germania guarda a se stessa con preoccupazione, malgrado lo stereotipo d’arroganza che si trova incollata nei nostri media. La stessa opinione della Commissione sulla bozza di legge tedesca di stabilità, dopo gli elogi sugli andamenti di bilancio rileva le insufficienze d’investimento pubblico e privato e livelli di consumo troppo bassi. Il rapporto franco-tedesco di Henrik Enderlein e Jean Pisani-Ferry su investimenti crescita e occupazione rincara la dose. Redatto su incarico dei ministri dell’economia dei due Paesi, Emmanuel Macron e Sigmar Gabriel e presentato alla stampa il 27 novembre, è un esame di coscienza e un elenco di riforme.

E’ un programma che sottende sia la proposta di legge Macron che il governo francese ha adottato il 10 dicembre sia uno scenario di più grande integrazione economica tra Francia e Germania – e poi europea – per mezzo di nuove iniziative legislative e operative a cui si riferiscono anche i progetti congiunti franco-tedeschi (e non puramente nazionali – come i nostri) presenti nell’elenco dei 300 miliardi di investimenti di Jean-Claude Juncker.

La Germania non fa figli: passerà dagli 83,5 milioni di abitanti del 2003 ai 65 milioni del 2060, con un calo del 20% e malgrado un flusso positivo di 200.000 nuovi immigrati all’anno. Secondo il rapporto, questa crisi demografica comporterà cambiamenti profondi, anche solo nei bisogni in infrastrutture e servizi (meno scuole e meno ospedali per esempio). Il cambiamento è ancora più drammatico se si pensa alla piramide della popolazione: si passerà dagli odierni 2,3 lavoratori attivi per ogni pensionato a 1,3 lavoratori attivi nel 2060 (asteniamoci da paragoni: noi siamo già oggi su questi numeri medi nazionali, ma abbiamo meno occupati).

La Germania non investe, segnando un deficit annuale pubblico-privato di 75 miliardi di euro, pari al 3% del PIL per un risultato cumulato dal 1999 al 2012 di mille miliardi di euro di mancate spese. Con un elevato livello di risparmio e bassi rendimenti, i capitali tendono a spostarsi all’estero. Il livello dell’istruzione è in calo, la domanda interna è debole, e i livelli d’ineguaglianza sociale in aumento, con rischi di povertà presso la popolazione più anziana. Nell’apparente agiatezza votata al risparmio, c’è quindi poco entusiasmo e non si fanno figli.

Si profila in Germania un nuovo periodo di riforme strutturali, assai simile alla “Reformstau” degli anni 1995-2005. Scartando l’ipotesi di lascar andar così le cose, con stagnazione, pochi figli e rassegnati adattamenti con riduzione di spesa e di strutture, il rapporto Enderlein/Pisani-Ferry oltre agli incentivi per aumentare il tasso di fecondità, propone varie azioni, e di far lavorare un po’ di più tutti quanti.

Si va dall’aumento del tempo di lavoro annuale globale, all’aumento della partecipazione femminile e delle classi d’età al mercato del lavoro, all’aumento della produttività dei fattori come del capitale e del lavoro per compensare il declino della popolazione. Per dar luogo a queste azioni occorre una definitiva e piena “apertura del mercato del lavoro”, dove “tutte le barriere esplicite e implicite in entrata sono eliminate”.

Si tratta di facilitare l’integrazione e la riuscita sul lavoro delle persone immigrate, con migliori competenze linguistiche, l’integrazione dei titoli di studio esteri, con permessi di lavoro concessi automaticamente per i settori deficitari, anche introducendo un sistema a punti per attirare i migranti di cui si ha maggiore necessità. Per il lavoro femminile si pensa a incentivi per passare dal lavoro a tempo parziale al lavoro a tempo pieno, per favorire gli asili nido, o per il secondo lavoratore in famiglia. Si tratta di far entrare nel mercato del lavoro a un’età più bassa le persone con qualifica più alta (ora iniziano a 27 anni), di riformare i mini-job riducendone gli oneri sociali e aumentando i servizi alla persona.

Il risparmio va spostato verso gli investimenti interni ed europei, si devono (anche in Germania!) liberalizzare alcuni servizi e varie professioni protette e corporative, che generano alti livelli di risparmio e posizioni di rendita, favorire la redistribuzione della ricchezza, insieme con un aumento dei salari in funzione dell’aumento della produttività per sostenere la domanda interna. Sugli investimenti, la Germania si scontra contro le sue stesse regole di contenimento della spesa e su procedure macchinose per esempio nell’ambito della transizione energetica: allora anche qui più libertà e più coraggio. Insomma, un mix di azioni e di scuole di pensiero, con lo sguardo ai figli che non si fanno più.


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