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Tutte le bugie fiscali che ammorbano l’Italia (e pure il Giappone)

I giapponesi hanno rinnovato la fiducia al Primo Ministro Abe nonostante il difficile momento economico attraversato che, almeno in parte, egli stesso aveva causato. Infatti l’indagine annuale svolta dal Japan Aptitude Test Foundation presso gli elettori su quale ideogramma sintetizzasse gli accadimenti del 2014 aveva fatto emergere Zei, che indica le tasse, seguito da Netsu (la febbre) e Uso (le bugie). Se tra tasse e bugie ci si raccapezza bene, su Netsu i giapponesi, a quanto ci viene detto, hanno ammesso di essere restati coinvolti nella febbre dei campionati mondiali tenutisi in Brasile, dell’Ebola che imperversa all’estero e della Dengue che si diffonde in Giappone. Non saranno certo gli italiani a sorprendersi se circenses e corpore sano sono aspetti importanti della vita dei cittadini del Sol Levante.

Aver indicato al primo posto le tasse appare una mirabile sintesi del disastro – perché tale è – causato da Abe con la decisione di aumentare l’Iva dal 5 all’8% e di aumentarla al 10% nel 2015. Dopo vent’anni l’economia giapponese aveva svoltato con l’Abenomics, la politica economica che ha pompato quantità incredibili di moneta e spesa pubblica in disavanzo, tanto da raggiungere un rapporto debito pubblico/Pil quasi doppio rispetto a quello italiano.

Avendo indetto nuove elezioni, Abe si voleva presentare con una finanza pubblica un po’ più in ordine e, cosa non inconsueta da noi, procurarsi risorse per ottenere consensi. Il risultato elettorale gli ha dato ragione, anche se si era affrettato a revocare l’ulteriore aumento del 10% per il 2015. Gli effetti del primo aumento e la decisione di revocare il secondo offrono un esempio mirabile della superficialità con cui i governi di tutto il mondo mettono mano all’aumento delle tasse, ovviamente affermando di farlo per fronteggiare la crisi della finanza pubblica e quella delle economie, invece di ammettere che lo fanno per procurarsi risorse per effettuare interventi a fini elettorali.

Non a caso i giapponesi hanno scelto come terzo ideogramma la bugia, indicando l’esistenza di uno stretto nesso tra le elezioni e le bugie – ossia promesse mancate o non credibili – che allontana i cittadini dalla politica. Affidiamo ai politologi e ai psicologi della folla la decifrazione del perché i giapponesi si sono bevuti la bugia che temevano.

In Italia le bugie proseguono imperterrite: si promette di ridurre la corruzione promulgando leggi più severe (Beccaria si agiterà nella tomba); si ritiene di poter eliminare l’euro con un referendum (in barba alle leggi che lo vietano) senza avere in mente un piano preciso, e lo si fa per contrapporsi alla tesi che nell’Unione Europea tutto va bene o si delinea una politica che la migliorerebbe; si insiste che agire sulla redistribuzione del reddito (negativa per salari e pensioni oltre i minimi, positiva per i profitti) sia un modo (per alcuni “il modo”) per uscire dalla crisi dell’economia, della finanza pubblica e della iniquità sociale. Sembrerebbe che i cittadini si bevano queste bugie, ma l’assenteismo elettorale indica che essi non si fanno abbindolare facilmente e vogliono fatti e non parole. E’ un errore trattare questa reazione come una manifestazione antipolitica pericolosa, perché è una domanda di più politica, possibilmente migliore.

In Italia la confusione delle tasse, un misto tra loro scarsa chiarezza e semplicità nell’assolverle, ha fatto e fa più danni delle tasse stesse. Il caso dell’Imu, Tasi, Tari e altri piccoli e grandi balzelli è la più incredibile follia che i Governi da Mario Monti in poi hanno manifestato. Va anche osservato che l’efficienza telematica dell’amministrazione fiscale nell’incassare e nel verificare pagamenti e deduzioni si può dire incredibile quasi quanto la follia di non aver evitato le complicazioni più assurde nel chiedere di assolvere al dovere fiscale. Il Fisco mostra un’efficienza inconsueta per la pubblica amministrazione, che però non si ritrova nei pagamenti o negli altri percorsi quotidiani che il cittadino deve affrontare.

Avete mai provato solo a invocare l’autocertificazione o chiedere un pronto servizio amministrativo? La risposta è sempre quella di presentare un documento cartaceo, sovente autenticato (e giù problemi e costi), e si deve attendere anche anni per sapere dei pagamenti dovuti e della propria pensione, ottenendo la risposta che la pratica è in attesa di accertamenti, senza che dicano quali. Forse l’efficienza all’incasso è solo apparente perché l’impegno fiscale è assolto direttamente dai cittadini, dalle banche e dalle imprese. E’ facile essere efficienti scaricando sugli altri l’onere dell’assolvimento. Se in Italia si facesse un censimento tra i cittadini degli ideogrammi di sintesi dell’anno ormai trascorso forse verrebbe scelta la confusione, che in versione nipponica sarebbe sonkey, rispetto. Quello che oggi manca nei confronti del cittadino.

(l’analisi è stata pubblicata sul quotidiano Mf/Milano Finanza diretto da Pierluigi Magnaschi)


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