In modo anche scaramantico, si auspicava da tempo che Cameri fosse scelto come centro di manutenzione e aggiornamento per gli F-35 europei e statunitensi. Questa decisione è stata finalmente annunciata da Lockheed Martin e dal Pentagono.
Si tratta di un’ottima notizia, per niente scontata. C’è stata una competizione vera con il Regno Unito, tra l’altro sostenuto dall’industria del settore.
In termini europei, può essere l’occasione per mettere a fattor comune nel polo italiano – grazie al contributo dell’industria e dei governi dei cinque Paesi dell’Ue che aderiscono al programma più la Turchia, membro Nato – le conoscenze e le competenze maturate. Sarebbe un primo passo concreto verso quell’integrazione della difesa del Vecchio Continente, spesso invocata, ma raramente messa in pratica.
Mentre che cosa vuol dire per l’Italia? Innanzitutto che quelle stime di 15,6 miliardi di dollari di ritorni, confermate in modo indipendente da PricewaterhouseCoopers, oggi possono essere aumentate in quantità indefinita. Indefinita perché ancora non si conosce l’ammontare definitivo delle commesse, ma si può dire con che vi sarà lavoro sicuro per i prossimi 40-50 anni. Non solo. Quel 40% di ritorni stimati rispetto agli investimenti, sforerà ora il 100%.
Ma non finisce qui. Oggi, la notizia rappresenta un’opportunità per l’industria aeronautica italiana, soprattutto per le prospettive future. Finmeccanica, che gestisce il sito, potrebbe aggiudicarsi altro lavoro per ciò che riguarda la net-centricità, ovvero l’integrazione software del velivolo. Non vi sono ancora certezze in merito, ma un percorso sembra positivamente avviato.
E poi, da un polo come quello di Cameri, infatti, può nascere persino una valorizzazione di altri sistemi-gioiello della nostra industria, che per una serie di motivi faticano ad affermarsi sul mercato internazionale.
Naturalmente, in questa vicenda c’è anche un rovescio della medaglia. L’Italia è giunta a questo risultato nonostante i tentennamenti del nostro Paese rispetto al programma e nonostante sia ancora pendente l’impegno di dotarsi di 90 caccia di V generazione. Non confermare questi ordini rappresenterebbe un’ulteriore caduta di credibilità, oltre che un danno in termini tecnici e operativi e, forse, anche industriali.
Ci siamo assicurati queste attività manutentive, ma non è detto che siano blindate. Non è detto che il mancato rispetto degli impegni non determini una loro volatilizzazione.