Abbiamo un dovere verso i giovani: permettere loro di maturare un pensiero critico e libero rispetto alla realtà. Solo così, infatti, le giovani generazioni, native digitali, potranno recuperare quel senso della complessità che oggi sembra dimenticato.
Due, fra le altre, sono le negatività da superare in questa fase storica: la superficialità dominante, figlia della semplificazione, e l’antagonismo permanente.
Con l’evoluzione e l’affermarsi delle nuove tecnologie si è creata una sorta di incapacità diffusa nel saper leggere la complessità dei fenomeni umani, le interrelazioni che li legano e le profondità che li caratterizzano. Certi di poter trovare nella semplificazione dei problemi complessi la loro soluzione, rischiamo sempre di più il distacco dalla verità dinamica della realtà, esistendo in una sorta di superficialità dominante. Va ritrovato e valorizzato lo stupore dei giovani, così necessario per vivere pienamente (anche da adulti) le potenzialità e le contraddizioni della condizione umana.
La formazione alla complessità assume oggi un valore strategico. Per troppo tempo ci siamo illusi che le sfide alle quali l’umanità è chiamata, e ciascuno di noi in essa, potessero essere comprese, affrontate e risolte nell’autoreferenzialità dell’unico punto di vista, attraverso l’occhio delle conoscenze particolari; ma l’intelligenza umana, e la realtà di conseguenza, è aperta al globale, ad una dimensione che, comprendendo ogni particolare, al contempo lo supera.
In questo, il pensiero complesso aiuta perché è pensiero critico, non lineare, creativo, libero. Rassegnandoci agli ineliminabili antagonismi presenti nella realtà, ed in ciascuno di noi, ed elevandoli a pensiero, ci siamo come adagiati sulla normalità di una “guerra delle verità”; così facendo, competitivi senza cooperazione, rischiamo di rendere il mondo un luogo a misura dei più forti; e non è detto che corrispondano ai migliori.