«La fede cattolica non c’è senza la dottrina cattolica professata dagli apostoli. La dottrina, poi, non è teoria, anche se ha una dimensione conoscitiva e contemplativa della verità, ma è vita vera, è espressione dell’essere, è realtà storica. Papa Francesco non ha spostato in secondo piano queste dimensioni, come qualcuno ha insinuato».
È quanto sostiene Giampaolo Crepaldi, arcivescovo-vescovo di Trieste e presidente dell’“Osservatorio Internazionale Cardinale Van Thuan”, nel capitolo finale del libro-intervista che esce a dieci anni da quando, nel 2004, Giovanni Paolo II faceva pubblicare, dopo lunga elaborazione, il “Compendio della Dottrina sociale della Chiesa” (a cura del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2004).
PAPA FRANCESCO E LA DOTTRINA SOCIALE
Il libro, curato da Stefano Fontana, direttore del settimanale diocesano di Trieste Vita Nuova, s’intitola La Dottrina sociale della Chiesa. Una verifica a dieci anni dal Compendio 2004-2014 (Edizioni Cantagalli, Siena 2014, pp. 103), e vede nell’ultimo capitolo vede una interpretazione del Magistero sociale di Bergoglio da parte di uno dei Vescovi più stimati nel mondo culturale e politico italiano.
Nel Capitolo V, intitolato “Papa Francesco e la Dottrina sociale della Chiesa” (pp. 87-101), mons. Crepaldi, risponde a coloro che criticano il Papa perché, in fin dei conti, «Ha scelto di puntare pastoralmente su una priorità: incontrare Cristo nella fede della Chiesa. Il resto, se Dio vuole, seguirà, compreso il pieno recupero di elementi che, in questo momento, a qualcuno sembrano trascurati» (p. 101).
IL COMPENDIO DELLA DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA
Il “Compendio della Dottrina sociale della Chiesa”, 10 anni fa’ subito tradotto in moltissime lingue, è un documento unico che ha fatto il giro del mondo ed è oggi il testo di Dottrina sociale cattolica più citato, anche da Papa Francesco. Mons. Crepaldi, intervistato da Fontana, che è anche direttore dell’Osservatorio “Cardinale Van Thuân” sulla Dottrina sociale della Chiesa, ne riprende ed attualizza i contenuti, avendo contributo in prima persona alla sua redazione e divulgazione, dapprima come sotto-segretario (1994-2001) e, dal 2001 al 2009, come segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e Pace. In quest’ultima veste, Crepaldi ha visto il Compendio dall’interno della Curia vaticana e dall’esterno, seguendone il grande successo iniziale, fino agli ultimi anni in cui, purtroppo, in parte del mondo cattolico tale documento è stato un po’ accantonato. Il Compendio rappresenta invece, ed è questo il filo conduttore del libro, non solo un documento compilativo o di “sintesi”, ma un passaggio dottrinale che meriterebbe una migliore diffusione oltre che valutazione di più ampia portata.
Come ricorda Mons. Crepaldi, «Pensato da san Giovanni Paolo II per l’anno del Grande Giubileo del 2000, il Compendio è un picco, un punto di vista da cui considerare il periodo precedente e quello successivo. A proposito, naturalmente, della Dottrina sociale della Chiesa, che esso riassume e rilancia» (p. 8).
IL “PATRONO” DELLA DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA
Il Cardinale François Xavier Nguyen Van Thuân (1928-2002), di cui attualmente è in corso il processo di beatificazione, merita senz’altro una menzione speciale in quest’ultimo libro di Crepaldi e Fontana. Il vietnamita “Servo di Dio” (con questo titolo la Chiesa indica le persone che, dopo la morte, si ritiene si siano distinte per “santità di vita” ed “eroicità delle virtù”), è stato infatti un pastore instancabile, autentico missionario della Dottrina sociale cattolica, amico e collaboratore di due Pontefici. Van Thuân passò tredici anni della sua vita in carcere (di cui nove in completo isolamento) colpevole di professare senza compromessi la sua fede, vittima del regime comunista, vanta un primato piuttosto raro. Si tratta infatti di uno dei rarissimi casi di persone non canonizzate che vengono indicate al popolo di Dio quali modelli di fede in discorsi o scritti pubblici di più Pontefici (così Giovanni Paolo II in Alzatevi, andiamo! – mentre Van Thuân era ancora in vita – e ugualmente Benedetto XVI nell’enciclica Spe Salvi).
Il cardinale vietnamita, rileva Mons. Crepaldi, «[…] seguì con una dedizione esemplare la stesura del Compendio della Dottrina sociale della Chiesa e, in vista della sua pubblicazione, offrì al Signore le indicibili sofferenze che patì negli ultimi anni della sua esistenza» (p. 11).
Il Compendio, aggiunge il Vescovo di Trieste, «è un atto – al suo proprio livello – di magistero e non solo una ripresa a fini didattici o pastorali degli insegnamenti sociali precedenti» (p. 49). Infatti, aggiunge, vista nella missione della Fede verso la Salvezza, «la Dottrina sociale ha la Chiesa intera come soggetto agente. È compito dei laici, ma non solo. Essa trae alimento dall’intera vita della Chiesa, dalla liturgia in primo luogo ed è un sapere teorico-pratico collegato con tutte le altre dimensioni della dottrina cattolica» (p. 18).
LA “TEOLOGIA POLITICA”
Altro interessante passaggio del libro è quello dedicato ad un altro nodo critico del pontificato di Papa Bergoglio, vale a dire quello della presunta “riabilitazione” della teologia della liberazione, precedentemente condannata per la sua assunzione dei criteri marxisti da Giovanni Paolo II e l’allora Card. Ratzinger. Nel capitolo II, intitolato “La Dottrina sociale della Chiesa in difficoltà” (pp. 25- 46), Mons. Crepaldi non si pronuncia direttamente su tale questione ma, richiamando il concetto di “teologia politica”, ravvisa nella sua dimenticanza da parte del mondo cattolico ed ecclesiale uno dei motivi che hanno facilitato l’attecchire della “teologia della liberazione”. “Teologia politica”, evidenzia il Vescovo di Trieste interrogato al proposito da Fontana, è espressione che «richiama il grande giurista tedesco Karl Schmitt, il quale aveva sostenuto che tutte le categorie politiche sono in fondo categorie teologiche secolarizzate. Per Schmitt è impossibile che non ci sia una “teologia politica” e il potere politico non può non avere il compito di “trattenere” il male. Da allora tutti coloro che parlano di una “teologia politica” vengono accusati di essere più o meno integralisti. La teologia cattolica ha così preso congedo dalla teologia politica» (p. 33).
Dio però si rivela con atti storici e la teologia politica è quindi una necessaria espressione della libertà critica del cristiano davanti a tutte le istituzioni mondane. Averne abbandonato una sua retta concezione, afferma Crepaldi, è stato un errore, perché la “teologia politica” può essere anche «espressione di una tensione escatologica di speranza […] non più “di destra”, come qualcuno colloca quella di Schmitt, ma comunque una teologia politica, ossia una convalida per fede di una prassi politica» (p. 34).