L’Istat fa improvvisamente riscoprire che l’Italia non è soltanto un antico Paese di emigranti (nelle grandi ondate del secondo Ottocento particolarmente verso le Americhe, nel primo decennio del Novecento e al momento dell’avvento di Mussolini e delle sue purghe con olio di ricino ai dissidenti che si spostavano verso l’Europa occidentale e settentrionale), ma è tuttora una fucina di emigranti.
Non siamo ora alle trasmigrazioni bibliche che spopolavano particolarmente le campagne del Nord-Est, la Campania e il profondo Sud in genere e la Sicilia; ma ci viene segnalato che, rispetto al 2012 (anno in cui imperversò il governo di Mario Monti imposto dal presidente Napolitano, stufo di Berlusconi), i nostri connazionali in fuga sono stati, nel 2013 (l’anno di Letta), il 20,7 per cento in più, una sorta di massimo storico dell’ultimo decennio.
Purtroppo, almeno al momento, non si specifica che, nel 2013, non hanno lasciato l’Italia degli straccioni, dei nullafacenti, degli affamati respinti dallo sfruttamento capitalistico, bensì cervelli, colletti bianchi, manager; cioè un potenziale produttivo che depaupera il Paese e non assicura le tradizionali rimesse dall’estero. La ragione principale dell’emigrazione italiana contemporanea è che, nello stesso periodo, sono giunti in Italia 307 mila immigrati da vari Paesi dell’Africa orientale, centrale e settentrionale, dall’Asia minore, dall’Est europeo che attraversano il Mediterraneo sicuri di trovare in Italia l’America, un paradiso terrestre che accoglie con manica larga, non importa se, chi cerca libertà sia in numero inferiore rispetto a chi viene inglobato in quel mare magnum del mercato di schiavi che quotidianamente sbarcano sulle nostre coste isolane o del Mezzogiorno, ovvero provengono dall’Est europeo allettati da altri sfruttatori di carne umana, particolarmente per avviarli alla prostituzione.
Purtroppo le cifre ufficiali dell’Istat sono inferiori alla realtà delle emigrazioni italiane verso l’Occidente e delle immigrazioni straniere in una Italia dove spesso (se non sistematicamente) sono raccolte in centri di accoglienza (da alcuni ritenuti nuclei di concentramento disumano; da altri luoghi di smistamento; da altri ancora agglomerati periferici da sfruttare magari politicamente, facendo partecipare molti di loro alle primarie del Pd, come assicurano le ultimissime cronache giudiziarie di alta criminalità politica, di cui il Paese ha ormai palese disgusto).
Quest’ultimo fenomeno va molto oltre il voto di scambio che venne utilizzato da Mani Pulite per sgominare l’intera classe generale della Prima Repubblica. Le ammissioni degli immigrati alle primarie del Pd sono e continuano ad essere controllate da speciali raccoglitori di preferenze pagate a stranieri da 20 a 50 euro a testa, facendoli entrare a far parte di inediti congegni politici corruttivi di cui, ora, scrivono abbon¬dan¬temente le cronache dei media con riferimento alla Cupola Romana o a quella Calabrese o all’altra Umbra ovvero alla Pugliese, ma che è questione che va consolidandosi almeno dal 2008. Cioè dalla caduta del II governo Prodi e dallo sviluppo delle lotte intestine ad un Pd che non voleva ammettere il proprio fallimento irreversibile come forza di rappresentanza di interessi popolari e la sua riduzione ad accozzaglia di rissose corporazioni l’una contro l’altra armata, che nulla hanno a che vedere con l’interpretazione marxista della storia o col gramscismo degli anni Venti, antisocialista e laicista.
Nel volgere di un decennio, l’utilizzazione, remunerata, degli immigrati per fini politici e selezionare la classe parlamentare dem, si è perfezionata. È diventata una regola. Concorre in qualche misura a creare (inconsapevolmente) un nuovo tipo di classe dirigente (o a confermare la vecchia), non rendendo un servizio né alla qualificazione della politica, né a quella dei partiti di sinistra che vi ricorrono. Così come continuano gli acquisti in blocco di tessere per prevalere in numerose città italiane, dove ci sono esempi di partiti (il Pd e Scelta Civica, per dire) che poi contano più iscritti che voti reali.
Le crociate ideologiche di Matteo Salvini e della destra nazionalista non sono in grado di fermare tali fenomeni, anzitutto per assenza di cultura d’accoglienza. La copertura che la classe di governo della sinistra dà all’acquisto dei consensi interni per conquistarsi spazi di rappresentanza tra futuri cittadini extracomunitari sotto l’apparenza di una apertura al mondo, non costituisce motivo di nobiltà e non può essere evitata accentuando svolte giustizialiste che, un tempo, erano tipiche dei regimi repressivi e autoritari e giustamente venivano condannate dai movimenti di sinistra.
Così, caro Renzi, non si cambia verso all’Italia in direzione del progresso. Semmai lo si rivolge all’indietro. Come ai tempi dei mazzieri di Giovanni Giolitti che, con l’aiuto dei prefetti, sbaragliavano i cafoni che cercavano di sfuggire al caporalato nelle campagne e nell’edilizia del Mezzogiorno, come denunciavano, inascoltati, Gaetano Salvemini, don Luigi Sturzo e Guido Dorso.