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Perché Isis inquieta anche l’Iran

Pubblichiamo un’analisi di AffarInternazionali

La minoranza di etnia araba dell’Iran (fra i 3 e i 5 milioni di persone), concentrata fra la regione occidentale del Khuzestan e la fascia costiera meridionale, ha una storia irrisolta di povertà e di deprivazione politico-sociale rispetto al potere centrale persiano. Proprio il Khuzestan ospita circa il 90% delle risorse petrolifere nazionali. Il Movimento arabo di lotta per la liberazione di Ahvaz (Asmla), città capoluogo, ha attaccato sei volte, solo nel 2013, le infrastrutture energetiche del paese, dedicando i sabotaggi ai gruppi che in Siria combattono il regime di Bashar al-Assad.

Mentre in Iran si susseguono, nel silenzio, gli arresti e le esecuzioni di cittadini arabi, viene da domandarsi se la presenza dell’autoproclamatosi Stato islamico (Is), fino a Diyala, regione di confine dell’Iraq, possa creare rischi per la sicurezza del fianco occidentale iraniano.

Soprattutto se i gruppi arabi militanti dovessero internazionalizzare la lotta armata e coalizzarsi con altre minoranze etniche, a differenza di quanto avvenuto finora.

FRA ARABISTAN E SIRENE IRACHENE

L’Arabistan, emirato semi-autonomo sostenuto dai britannici fino al 1925, anno della rimozione di Shaikh Kazal, è la regione (poi rinominata Khuzestan) che più ha sofferto le politiche di Reza Khan Pahlavi che vedeva nelle tribù autoctone l’antitesi della nazione moderna che intendeva costruire.

Repressione militare e cooptazione dei capi tribali hanno così forzato il processo di detribalizzazione dei popoli iranici, tra cui gli arabi ahvazi, sedentarizzati per legge e costretti a servire nell’esercito.

Affascinati dall’ideologia del partito Baʼath, gli arabi del Khuzestan sono però politicamente divisi fra autonomisti e indipendentisti; neanche Saddam Hussein è così riuscito a provocare una rivolta anti-Teheran, nonostante la comunità araba di Ahvaz abbia forti legami, tribali-linguistici ed economici, con l’irachena Bassora.

La tribù dei Bani Kaab, cui apparteneva lo stesso Shaikh Kazal, proveniva dall’attuale Kuwait; ancora oggi, l’emigrazione dall’ovest dell’Iran verso l’Iraq e il Kuwait è massiccia.

L’espropriazione sistematica della terra da parte delle autorità centrali, insieme alla deviazione del fiume Karun, hanno cronicizzato la condizione di povertà, disoccupazione ed esclusione sociale degli arabi dell’Iran occidentale, discriminati dalle cariche pubbliche e dalle Forze armate.

Oltre il 50% di essi è analfabeta e non comprende il farsi, la lingua ufficiale della Repubblica islamica. Nell’aprile 2005, almeno trenta manifestanti arabi sono morti durante un corteo di protesta, represso dalle forze governative; una data divenuta simbolo e commemorata ogni anno, preceduta da arresti ed esecuzioni. Anche i sontuosi palazzi di Shaikh Kazal sono stati, nel tempo, demoliti da Teheran.

ARABI IRANIANI E CALIFFATO

La presenza dell’Is inquieta anche l’Iran perché minaccia la tenuta politica degli attori sciiti e filo-iraniani del Levante (anche se Assad ne ha finora beneficiato, screditando l’opposizione).

Inoltre, non si possono escludere ricadute sulla sicurezza interna. I gruppi arabi militanti iraniani hanno almeno un obiettivo convergente con i terroristi del califfato: l’opposizione al regime di Teheran.

Nel 2012 Asmla – sospettato di ricevere finanziamenti e addestramento dalla diaspora di Dubai – ha inviato una delegazione a incontrare i Fratelli Musulmani siriani. Un battaglione dell’Esercito libero siriano è infatti devoto alla causa di Ahvaz. Nel 2013, il gruppo armato Al-Areen di Ahvaz e le brigate siriane di Al-Ababil hanno rivendicato l’attentato a un impianto petrolchimico di Abadan.

PERSIANIZZAZIONE DELLA MINORANZA ARABA

Il 70% degli arabi d’Iran è sciita, ma il fattore confessionale viene qui superato da quello etnico: lo scontro si gioca lungo la faglia arabi/persiani, resa più profonda dalla diseguaglianza economica e sociale.

Numerosi arabi sciiti si convertono al sunnismo proprio per evidenziare la loro alterità dal potere di Teheran. Dopo il 2003, molti arabi ahvazi si unirono alle milizie jihadiste irachene, realizzando alcuni attentati in Iran.

La rivendicazione del sunnismo a fini politici accomuna la parte più militante della comunità araba ai baluci dell’est dell’Iran e potrebbe divenire una calamita per il jihad transnazionale.

Nella regione periferica del Sistan va Baluchistan, che prosegue in territorio pakistano, la milizia Jaysh Al-Adl (già Jundollah) ha domandato, in occasione del rapimento di cinque guardie di frontiera iraniane, la liberazione di alcuni oppositori siriani.

In un comunicato del 2013, Asmla ha annunciato la decisione di coordinarsi politicamente con i baluci di Jaysh Al-Adl e i curdi iraniani del Partiya Jiyana Azad a Kurdistan. Il forte sentimento anti-arabo in Iran potrebbe però impedire la formazione di una coalizione politica e militante contro Teheran.

Nella storia iraniana, la pluralità identitaria non ha mai condotto alla frammentazione del paese; di certo, le politiche repressive e di persianizzazione della minoranza araba proseguono, anche durante la presidenza Hassan Rohani.

Eleonora Ardemagni è analista di relazioni internazionali del Medio Oriente, collaboratrice di Aspenia, ISPI, Limes.

Clicca qui per leggere l’analisi completa



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